La grande illusione con occhi d’artista
La mostra L'esposizione milanese inaga sul ruolo che diversi esponenti dell'arte italiana ebbero nel veicolare un certo entusiasmo per l'entrata in guerra
La mostra L'esposizione milanese inaga sul ruolo che diversi esponenti dell'arte italiana ebbero nel veicolare un certo entusiasmo per l'entrata in guerra
I centenari, si sa, sono occasioni importanti per ragionare sugli eventi che maggiormente hanno segnato la nostra modernità. L’entrata in guerra dell’Italia nel 1915 non fa eccezione, e da tempo numerose iniziative si sono sommate nella celebrazione di questo evento che segna inequivocabilmente l’avvio traumatico di una nuova stagione per le vicende sociali e politiche del continente europeo. In questi anni il ricordo della Prima guerra mondiale ha perso sempre più terreno in confronto ad altri eventi considerati più traumatici. Occorre invece ristabilire una sorta di primato per questo episodio che ha segnato la modernità occidentale per certi versi molto più in profondità del secondo conflitto mondiale. È dall’esperienza della Grande Guerra che prenderà avvio quella mobilitazione sociale, culturale, politica che porterà alla Rivoluzione d’ottobre in Russia e ai regimi reazionari di massa in buona parte d’Europa. Che determinerà in via definitiva l’ingresso delle masse nella cittadella della politica, smantellando la vecchia impostazione notabiliare liberale imponendo uno scenario fino a pochi anni prima impensabile, costringendo la democrazia rappresentativa a rigenerarsi.
La mostra organizzata da Banca Intesa e dislocata in tre città, Milano, Vicenza e Napoli, ha il merito di porre l’accento sul moto intellettuale che dapprima spinse l’Italia all’entrata in guerra, poi si accorse degli orrori provocati dal primo conflitto industriale della storia umana. Una fabbrica della morte che sconvolse la vita delle società europee, che produsse drammi umani mai più rimarginati. L’esposizione milanese, in particolare, indaga il rapporto tra artisti e propaganda, chiarendo il ruolo che diversi esponenti dell’arte italiana ebbero nel veicolare un certo entusiasmo per l’entrata in guerra. Entusiasmo tutto interno ai ceti dirigenti ed intellettuali, che toccò poco invece il resto della popolazione, come consueto vittima della storia.
La mostra conduce il visitatore attraverso un percorso storico-artistico capace di illustrare dapprima i prodromi sociali e culturali del conflitto, quelli di una Belle Époque che in realtà nascose uno dei periodi più tormentati della storia d’Italia. Al realismo pittorico si sostituì progressivamente una tendenza simbolista e divisionista capace di descrivere metaforicamente, almeno negli artisti più sensibili, una questione sociale irrisolta fatta di povertà diffusa, fame, malattie e disastrose imprese coloniali. Una carica sociale rappresentata nell’esposizione da opere quali Riflessioni di un affamato di Emilio Longoni o Dicembre – l’alba dell’operaio di Giovanni Sottocornola, lavori che esplicitano artisticamente la distanza abissale tra il racconto dei ceti dirigenti e la condizione materiale delle popolazioni vittime dello sviluppo industriale e urbano.
L’avvento del nuovo secolo dispiega una volontà rigeneratrice attraverso nuovi impulsi culturali e artistici. Sarà il Futurismo che s’incaricherà di rappresentare al meglio questa sbornia di esagitata modernità, che verrà tradotta poi nell’esaltazione dell’interventismo, vero tratto unificante delle classi politiche e culturali europee. L’entrata in guerra costituirà il tema cavalcato da ogni parte politica, e che costringerà anche le forze socialiste alla triste posizione del né aderire né sabotare, vittime di un nazionalismo interventista che decretò la crisi della Seconda internazionale sublimata dai crediti di guerra votati dal Partito socialdemocratico tedesco alla vigilia del conflitto. L’apologia della guerra quale sola igiene del mondo, secondo le parole del poeta futurista Marinetti, risulta il tratto predominante del movimento artistico italiano, e viene bene espressa dalle opere di Balla o Carlo Carrà, ma anche in artisti non appartenenti alla corrente futurista ma comunque intrisi di spirito interventista, quali Giulio Aristide Sartorio o Mario Sironi. Cannone di Anselmo Bucci, così come Dimostrazione interventista di Giacomo Balla o Manifestazione interventista di Adriana Bisi Fabbri, sono alcuni esempi esposti dell’esaltazione della guerra negli anni a cavallo del 1915, quando la neutralità italiana veniva interpretata come ignavia di fronte allo spirito del mondo che imponeva una purificazione bellica, che pretendeva il sangue per lavare via i retaggi di un antico regime spazzato via dal progresso.
La dura realtà del conflitto e del dopoguerra segneranno la riflessione artistica degli anni successivi, soprattutto di quegli «artisti-soldati» che avevano sperimentato direttamente al fronte il significato della guerra, le sue tragedie, e quanta distanza separava i bei discorsi dalla cruda oggettività di masse senza nome costrette a morire in nome di un’idea di progresso completamente equivocata. Anche artisticamente, le avanguardie lasceranno il posto ad un «ritorno all’ordine» espressivo volto a descrivere i drammi della guerra. Un ritorno alla centralità della forma, capace di descrivere tramite un nuovo impulso realista il risultato della carneficina mondiale. Sono gli anni della riflessione sulla morte e la tragedia di uno sviluppo ineguale. Caganccio Di San Pietro, con il suo Madre. La vita. Il dolore. La gloria, interpreta al meglio lo spirito del tempo, quello della frustrazione tra gli ideali pre-bellici e i dolori quotidiani di chi ha visto morire i propri figli al fronte. Anche La tomba di un eroe, di Galileo Chini, narra del triste saluto ai morti «per la patria». Giovanni Battista Costantini cercherà invece di descrivere il senso di morte che aleggia su tutta la vicenda bellica, attraverso opere quali Il piano d’attacco o Ritorno alla vita. Le audaci sperimentazioni delle prime avanguardie subiscono una battuta d’arresto di fronte alla complessità dell’esistente segnato dal lutto. La forma e la linea riprendono il sopravvento cercando la descrizione semplice dei sentimenti e delle vicende. Non è più tempo di sperimentazione d’avanguardia.
In conclusione, le oltre duecento opere della mostra milanese guidano lo spettatore attraverso un tragitto che va dall’esaltazione alla disillusione, riuscendo mirabilmente a chiarire, attraverso gli artisti proposti, il ruolo che molta parte del mondo intellettuale italiano ed europeo ebbe nel fomentare gli animi bellicosi, maneggiando contraddizioni che poi deflagrarono in tutta la loro violenza. Che sia opera di una banca, figlia diretta di quelle agenzie che organizzarono e finanziarono l’intervento italiano (Banco di Roma, Banca commerciale italiana, Banca italiana di sconto), non può che descrivere al meglio l’attuale scomposizione ideologica di cui è figlia la società post-moderna.
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