Lavoro

La grande demagogia sul riscatto della laurea per i Millennials

La grande demagogia sul riscatto della laurea per i MillennialsUn'aula universitaria

Pensioni & Demagogia Costerebbe 4,5 miliardi l’anno e favorirebbe solo i ricchi. Ma Renzi cerca consenso. Il professor Raitano: è una misura inutile per i precari e regressiva, meglio la pensione di garanzia

Pubblicato più di 7 anni faEdizione del 3 agosto 2017

Una campagna social, l’appoggio di un grande giornale, il benestare del sottosegretario all’Economia. Sul riscatto gratuito della laurea a fini pensionistici si sta creando un bubbone mediatico da cui presto uscirà tutta la demagogia su cui poggia.

La paternità della proposta viene rivendicata dai Giovani Democratici, il movimento giovanile del Pd a cui Renzi ha dato il compito di cercare di allargare un consenso che al referedendum costituzionale ha visto 7 under 35 su 10 votare No alla grande riforma dell’ex presidente del consiglio. Senza badare minimamente al merito della proposta, è partita una martellante campagna su twitter che invita i giovani a ritrarsi con un foglio recante l’hashtag #riscattalaurea, il tutto rilanciato dal quotidiano Repubblica che due giorni fa ha strappato l’adesione del sottosegretario dell’Economia Pier Paolo Baretta: «Stiamo studiano come, è giusto che lo Stato s’assuma l’onere dei contributi dei giovani che studiano».

Il tutto rientra nel dibattito sulle pensioni che, nella sua «Fase 2», dovrebbe agevolare i giovani per i quali la pensione rischia d’essere un miraggio.
Ma in un sistema quasi totalmente contributivo – la pensione dipende solamente dal montante dei contributi versati – il riscatto della laurea per i cosiddetti Millennials (i nati dopo il 1980) che l’hanno conseguita in corso si tramuterebbe solo in uno sperpero di denaro pubblico che favorirebbe in larga parte le famiglie ricche.

«In un sistema contributivo puro, non ci sarebbe alcun vantaggio in termini di anticipo», spiega Michele Raitano, docente alla Sapienza di Roma ed esperto di pensioni. Ma anche con le regole di pensionamento “ibride” introdotte dalla Fornero – che poco hanno a che fare con la logica del contributivo e che lo stesso governo auspica di modificare nella Fase 2 – il vantaggio dell’anticipo sarebbe limitato e comporterebbe una riduzione pagata ad età più giovani. Il motivo è presto detto: i tre anni di contributi in più potrebbero incidere sulla pensione anticipata – che ha sostituito la pensione di anzianità con la riforma Fornero – che già oggi però prevede come condizione avere 42 anni di contributi e che, essendo agganciata all’aspettativa di vita come quella di vecchiaia, aumenterà sempre di più, arrivando nel 2040 – anno presumibile di pensionamento per gli attuali Millennials – a ben 45 anni di contributi. Una possibilità alternativa per ritirarsi con 3 anni di anticipo (intorno ai 66 anni nel 2040) è quella di raggiungere un assegno pensionistico pari a 2,8 l’assegno sociale, circa 1.050 euro netti: una chimera per la maggioranza dei giovani con carriere discontinue.

E qua arriviamo all’entità dei contributi. Nell’ipotesi prospettata per i tre anni riscattati i contributi pagati dallo Stato sarebbero figurativi per un importo di 5mila euro l’anno, che corrisponderebbe ad un reddito da lavoro pari a circa 15mila euro annui e dunque molto basso. L’incidenza sul montante contributivo sarebbe assai ridotto. «Non sposterebbe niente o pochissimo, specie per i lavoratori più precari», osserva Raitano. Che dunque ha un giudizio assai negativo sulla proposta: «Il riscatto della laurea, essendo indipendente dal successo della carriera successiva, avvantaggerebbe in primo luogo chi avrà successo nel lavoro, sarebbe un regalo ai più abbienti a spese dello Stato. Una proposta dal carattere prettamente regressivo». In più sarebbe uno schiaffo sia a chi non ha potuto laurearsi in corso perché lavorava o cercava di avere voti più alti e creerebbe disparità con i tanti che hanno riscattato la laurea con costi altissimi negli anni scorsi.

Il riscatto della laurea è stato reintrodotto nel 2007 dal protocollo sul welfare Damiano. Prevedeva una spesa fissa e deducibile per chi lo avesse compiuto prima di lavorare – le famiglie ricche che lo pagano ai figli – e un costo più alto al passare degli anni parametrato sul reddito da lavoro. «Il riscatto aveva un senso col sistema retributivo che fissava l’assegno anche rispetto agli anni di contributi. Oggi non l’ha più», continua Raitano.

Quanto alla spesa che lo Stato dovrebbe sostenere il conto è presto fatto: considerando che si laureano circa 300mila giovani l’anno per i 15mila euro di contributi figurativi (5mila euro l’anno) si arriva a 4,5 miliardi l’anno. Una cifra insostenibile per lo Stato. E altrettanto inutile. «Si tratta di una delle tante proposte “ex ante” che hanno una limitata efficacia sulle situazioni di difficoltà e costano moltissimo. Io invece propongo una “pensione di garanzia” basata su una integrazione di contributi ex post rispetto al montante di ogni giovane (anche non laureato). Sarebbe redistributiva e aiuterebbe soprattutto i precari: circa 650 euro con 30 anni di attività anche discontinua, 930 con 66 anni e 42 di attività», conclude Raitano.

ABBONAMENTI

Passa dalla parte del torto.

Sostieni l’informazione libera e senza padroni.
Leggi senza limiti il manifesto su sito e app in anteprima dalla mezzanotte. E tutti i servizi della membership sono inclusi.

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento