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La Grande Bellezza vista da Hollywood

La Grande Bellezza vista da HollywoodToni Servillo

Il  Golden Globe per La Grande Bellezza è un riconoscimento importante che fa del film di Paolo Sorrentino uno dei pretendenti favoriti all’Oscar per il film straniero. Il globo della Hollwood Foreign […]

Pubblicato quasi 11 anni faEdizione del 14 gennaio 2014
Luca CeladaLOS ANGELES

Il  Golden Globe per La Grande Bellezza è un riconoscimento importante che fa del film di Paolo Sorrentino uno dei pretendenti favoriti all’Oscar per il film straniero. Il globo della Hollwood Foreign Press sancisce, con contorno di glamour hollywoodiano, l’apprezzamento che il film ha ricevuto in America. Sarebbe pero’ anche da sfatare un po’questa idea de La Grande Bellezza che piace automaticamente all’estero e contemporaneamente e’ disprezzata in casa.  E’ vero, il film sembra aver meritato una spropositata dose di fiele da parte di una sostanziosa parte di critica italiana. Ed e’ vero anche che da quando ha debuttato a Cannes le recensioni dei maggiori critici americani sono state molto positive, ma non per questo si tratta di un giudizio unanime.

Quando ho assistito ad una proiezione per la stampa a Los Angeles ad esempio, una manciata di colleghi sono usciti dalla sala, fatto piuttosto raro durante una presentazione per la stampa.  In generale qui il film suscita comunque  opinioni fortemente contrastanti. I film che dividono drasticamente le opinioni d’altronde sembrano essere la norma quest’anno. Ancor piu’ che per La Grande Bellezza questo e’ vero ad esempio della Vita di Adele di Abdellatif Kechiche, che a Cannes ha vinto la Palme D’Or malgrado le impressioni negative di molti giornalisti (e in apparenza, almeno in parte,  anche delle stesse attrici).

https://www.youtube.com/watch?v=2HY-Auaggcs

Anche molti prestigiosi film americani quest’anno hanno spaccato il pubblico e la critica: Inside Llewyn Davis ambientato dai fratelli  Coen nel mondo del musica folk ai tempi del Village, e’ stato amatisissimo da molti e deprecato da molti altri che vi hanno ravvisato un esercizio manierista al di sotto delle capacita’ degli autori. Wolf of Wall Street, l’allegoria di Martin Scorsese  sui parossosistici eccessi della finanza, e’ stata attaccata con tale forza da un folto numero di critici e opinionisti, che gli interpreti principali Jonah Hill e Leonardo di Caprio hanno intrarpreso una controffensiva pre-oscar a base di incontri col pubblico e dibattiti post-proiezione per difendere il film dalle acccuse di eccessiva complicita’ – quasi apologia di reato –  del regista con gli antieroi del film.

In maniera simile  La Grande Bellezza e’ vittima in certa misura dei suoi soggetti: un film sulla cronica indolenza e l’ignavia di personaggi pomposi e artificiosi che corre il rischio di apparire esso stesso pomposo e artificioso. E’ un teorema particolarmente plausibile in America dove il cinema d’autore europeo risente ancora in certa misura dello stereotipo di solipsistico intellettualismo (vedasi a riguardo l’esilirante parodia dedicata a Bergman da Woody Allen in Amore e Morte).

Quindi un film semi narrativo come quello di Sorrentino,  barocco nei suoi attegiamenti e “manierista” nella sua esplicita citazione, in particolare di Fellini, certamente corre il rischio anche in America, di contrariare qualche spettatore, e non mancano anche qua i detrattori che gli imputano un difetto di orginalita’. Eppure c’e’ una certa simmetrica coerenza in un film su persone intrappolate da un passato soffocante che tentano con vacuo edonismo di emulare l’opprimente bellezza che le sovrasta – specialmente quando il film emula esso stesso lo stile di un “inarrivabile” maestro del cinema di un ingombrante passato.

E’ per definizione un dilemma attinente al film, a Roma e, sí, all’Italia, come lo sono la mondanità sguaiata e cafona che e’ diventata un meme del presente romano (italiano), appendice di un potere ugualmente spudorato nelle sue manifestazioni. Sono idiomi dell’italianita’ contemporanea entrati non a caso nei film di Sofia Coppola come di Erik Gandini,  tanto quanto il bunga bunga e’ diventato materia dei talk show comici di mezzo mondo: inevitabile riflesso di un avvitamento fatuo e fatale di un paese in cui passatismo e paralisi sociale sono diventate norma prevalente.

Bisogna dare atto agli Americani di sapere cogliere anche queste sfumature. Il successo de  La Grande Bellezza e’ meno legato a facili stereotipi di quanto lo furono, ad esempio, certi film italiani – questi sì stereotipati –  proiettati verso l’Oscar in particolare da specialisti come Harvey Weinstein.  Se, come e’ probabile, ora di dopodomani  La Grande Bellezza entrera’ anche nella cinquina dei candidati stranieri all’Oscar, quale miglior rappresentante potrebbe avere l’Italia di un film che fotografa splendidamente il suo congenito immobilismo?

 

 

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