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La giustizia si fa in due

La giustizia si fa in dueAndrea Orlando e Matteo Renzi – Eidon

Governo Scontro a colpi di tweet con i 5 Stelle sulla riforma. A parlare con Orlando va solo Forza Italia. Ma fino al prossimo faccia a faccia tra Renzi e Berlusconi c’è poco da discutere

Pubblicato circa 10 anni faEdizione del 22 agosto 2014

A chiacchierare col ministro Orlando di riforma della Giustizia, di tutte le opposizioni ce ne va una sola: quella che all’opposizione ci sta per finta: Forza Italia. Tutte le altre disertano, innescando la solita ridicola rissa a colpi di tweet tra Pd e Movimento 5 Stelle. Le opposizioni non sdegnano il cortese invito per protesta contro questo o quel versante della strombazzata, ma proprio perché non saprebbero contro cosa protestare. La riformona, al momento, è tutta virtuale, secondo le migliori tradizioni di casa Renzi. Una scatola che nei punti essenziali aspetta di essere riempita. Attende cioè l’incontro di settembre tra i soci fondatori della maggioranza di fatto, il presidente del consiglio in carica e l’ex, Silvio Berlusconi.

I consigli e i suggerimenti degli oppositori, al ministro Orlando, sono puntualmente arrivati. Quelli a cinque stelle addirittura in doppia copia, ma dagli spalti di via Arenula non è arrivato manco un laconico segnale di posta ricevuta e meno che mai l’auspicata e attesa illustrazione della riforma. Nel merito gli invitati alla consultazione hanno idee opposte: tra la concezione della giustizia di Sel e quella della Lega ci passa di mezzo il mare, anzi ci passano di mezzo le garanzie. Ma nel metodo il parere è unanime: da un ministro che non ti fa sapere in anticipo di cosa parlare e i tuoi suggerimenti chissà se li ha mai letti non vale la pena di recarsi. La sua, chiosano i pentastellati, «è una scortesia istituzionale».

Potrebbe finire lì, come finisce con la Lega e con Sel. Invece il presidente ex giovane ed ex turco del Pd, Matteo Orfini, si scatena: «Coi terroristi bisogna interloquire, ma mai farlo col governo». Oddio, da quel che si è visto a palazzo Madama sulla riforma del Senato per la verità il governo pare che la parola «interlocuzione» debba ancora andarsela a cercare sul dizionario, ma tant’è. Matteo il Grande (Renzi), o probabilmente chi per lui, coglie la palla al balzo e ritweetta paro paro. Così, finalmente sono i gagliardi a cinque stelle a potersi scatenare nell’arena della rete. Tocca a Luigi Di Maio che non va giù di fioretto: «Mai avuto niente a che fare con i terroristi. Ma proviamo un senso di ribrezzo nel constatare che un presidente del consiglio possa ancora scendere a patti con Berlusconi sulla giustizia».

Scatenata una rissa che per la riforma in questione equivale al peggior viatico possibile, e amplificata senza guardare alle virgole dai giornali online, Renzi non ha altra strada che smentire a metà il suo stesso retweet. «Il presidente del consiglio si è limitato a fare un retweet con un’affermazione che si può leggere e trascrivere nero su bianco. Ma non ha mai detto che il M5S tratta solo con i terroristi». Non che come pezza sia un granchè…

Fi invece all’incontro ci è andata spedita, ma mica è facile immaginarsi un summit più stinto. Non è colpa del ministro e dell’ex sottosegretario azzurro. E’ che sono comprimari senza diritto di spingersi oltre l’ovvio, in attesa che si vedano e decidano i rispettivi sovrani. Caliendo lamenta il rinvio della riforma delle intercettazioni, poi sottolinea la necessità di evitare improvvidi «ritorni al passato», in soldoni il ripristino del falso in bilancio. Orlando ascolta, prende atto, medita. Riferirà. La quadra dovrebbe essere appunto evitare entrambi i passi «estremi»: niente norme sulle intercettazioni, anche se ad Arcore le aspettano come assetati nel deserto, ma neppure il pieno ritorno del falso in bilancio, che sarebbe sì necessario e urgente ma lì c’è il rischio che Silvio si storca sul serio.

A dettagliare la riforma sarà dunque la quarta puntata del Nazareno, dove però si dovrà parlare molto anche d’economia e c’è da scommettere che tra i due banchi lo scambio sarà pesato col bilancino e l’intreccio strettissimo. E’ così che funziona il mercato. La minaccia del falso in bilancio è già tornata utile più volte quando si trattava di spingere il condannatissimo a miti consigli un po’ su tutti i fronti. Potrebbe rivelarsi un’arma preziosa anche quando Matteo Renzi dovrà cortesemente ripetere a Silvio Berlusconi che i suoi voti sui provvedimenti economici è ben lieto di incamerarli, ma presentarlo in società come interno alla maggioranza purtroppo proprio non si può.

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