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La giustizia non si riforma a pezzi

La giustizia non si riforma a pezzi – Mauro Biani

In-civile «Il primo e più grave errore nell’affrontare i problemi della giustizia civile, ma direi complessivamente della giustizia, è quello del metodo: una pezza qui, una pezza lì, con l’uso costante […]

Pubblicato quasi 11 anni faEdizione del 10 ottobre 2013

«Il primo e più grave errore nell’affrontare i problemi della giustizia civile, ma direi complessivamente della giustizia, è quello del metodo: una pezza qui, una pezza lì, con l’uso costante di decreti per chiudere falle che finiscono semplicemente per aprirne altre. Lo si può verificare sia con la geografia giudiziaria sia con la mediazione obbligatoria, tanto per citare due casi di stringente attualità». David Ermini, avvocato fiorentino e componente della pattuglia renziana a Montecitorio, dove siede in commissione giustizia, non nasconde la sua insoddisfazione.
Non che abbia torto, a lamentare la frammentarietà degli interventi governativi sul civile, compresi nel famoso decreto del fare e nella legge che ha rimodulato la distribuzione dei tribunali in Italia, modificando una geografia giudiziaria risalente a Carlo Alberto. Ma allora che cosa servirebbe? «Una riforma, una vera e completa riforma della giustizia italiana». Lapidario. Facile a dirsi. E perché non arriva, questa benedetta riforma, considerando che tutti sembrano volerla? «Perché una riforma complessiva richiede una situazione politica più serena».
D’accordo, e tuttavia, ogni volta che si tenta un timido accenno di riforma, si ha l’impressione di scontrarsi perennemente con veti incrociati provenienti non solo dalla politica. Ad esempio, anche da voi avvocati, che avete addirittura portato la mediazione obbligatoria in Corte Costituzionale, tanto eravate contrari, per non citare i blocchi stradali contro la chiusura dei piccoli tribunali. «Gli avvocati avranno anche commesso degli errori, ma il governo non li ha ascoltati né allora né dopo». Sarebbe a dire? «Il Consiglio Nazionale Forense e gli Ordini si erano dichiarati disponibili a reperire iscritti in numero sufficiente a chiudere l’arretrato. Un numero congruo, per intenderci, di certo ben superiore ai 400 previsti dal Decreto del fare. Ma si chiedeva che questi avvocati non fossero presi solo dagli elenchi dei pensionati. Anzi, che si offrisse un’opportunità di lavoro ai giovani professionisti. Il presidente del Cnf, Guido Alpa, lo ha detto in commissione giustizia precisando che naturalmente si intendeva impiegare ogni avvocato fuori del suo distretto di appartenenza in modo da evitare eventuali conflitti di interesse. Molti di questi avvocati, si erano dichiarati pronti a impegnarsi a titolo gratuito. E tuttavia, come si sa, alla fine è prevalsa la vecchia linea secondo cui l’arretrato lo si affida appunto a 400 tra ex magistrati, notai, commercialisti e anche qualche avvocato». Ermini fa della questione, ovvero dello smaltimento dell’arretrato, il punto decisivo per qualsiasi reale tentativo di alleviare le condizioni disperate della giustizia civile. E sostiene che i «tagli con la scure» calati sui tribunali italiani non aiutano affatto: «Il peso sociale della nuova geografia giudiziaria si vedrà nei prossimi mesi, quando migliaia di fascicoli in attesa di nuova assegnazione provocheranno ulteriori ritardi a cascata nella conclusione delle controversie. Questa riforma era necessaria, ovviamente, ma andava progettata con maggiore accortezza e soprattutto insieme allo smaltimento definitivo dell’arretrato». Lo stesso dicasi per la mediazione obbligatoria, di cui non si apprezza il costo economico aggiuntivo che graverà sulle spalle del cittadino. «Guardi, uno degli aspetti positivi del decreto è quello di trasformare l’accordo di conciliazione, firmato dalle parti e dai loro avvocati, in un titolo direttamente esecutivo. E’ una decisione molto importante». Perché? «Se c’è un punto di maggior sofferenza, nel civile, è proprio la difficoltà attuale della fase esecutiva. Dopo anni e mille fatiche, magari si vince, salvo poi scontrarsi con l’impossibilità di ottenere il dovuto perché nel frattempo il perdente è andato in fallimento, è scomparso dalla circolazione. Perciò ben venga la nuova norma, nella consapevolezza che comunque non basta».

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