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La gente di Mandela si rimette in cammino

La gente di Mandela si rimette in camminoA Qunu, per l'estremo saluto a Mandela – Reuters

Reportage L’ultimo viaggio è verso Qunu, dove la Rainbow Nation oggi dirà addio al suo «re». Il cuore del popolo di Madiba, quello tenuto ai margini degli eventi ufficiali, si riprende il suo eroe, un "uomo a parte" che ha cambiato per sempre il Sudafrica. Il feretro accolto da un fiume di suoni articolati, dai click della lingua xhosa. E tanta gratitudine

Pubblicato quasi 11 anni faEdizione del 15 dicembre 2013
Rita PlanteraQUNU (Sudafrica)

L’ultimo viaggio di Madiba è verso Qunu, un manipolo di case nella provincia dell’Eastern Cape. Verso la sua gente, quella con cui desiderava passare le giornate di tanto in tanto prima che il retaggio di quei 27 anni di prigione col tempo gli togliesse definitivamente il respiro. Quattro case sparse in una lunghezza di cielo e di verde che dall’alto del ciglio della strada dove siamo sembra infinito e perenne.

Tra le telecamere mediatiche, per strada sfila la vita di sempre mista all’attesa tutta intima e solo più tardi manifesta: mamme con i bambini imbavagliati sulla schiena, vecchi uomini – alcuni solo dall’aspetto vecchi – dallo sguardo attonito e fisso nel vuoto che stringono in mano piccole bandiere sudafricane e indossano magliette dell’African National Congress, ragazzotti dallo sguardo perso che camminano verso casa e ancora verso la strada del passaggio del feretro, adolescenti smarriti e al tempo stesso attratti dal viavai dei badge appesi al collo di giornalisti e fotografi accreditati per l’evento, bambini che chiedono acqua e cibo, che chiedendo scusa per spiaccicare solo qualche parola in inglese, dopo poche tentennate, con un sorriso travolgente ci riversano addosso un fiume di suoni articolati e di click in xhosa di cui capiamo solo Madiba.

«Abbiamo l’elettricità grazie a lui», dice Lefty, «ho 15 anni, non l’ho mai visto Mandela». Furgoncini aperti che trasportano lavoratori e materiali tra i più differenti come materassi e tavoli, donne che sbucano fuori dai taxi collettivi coi loro figli di poco più di 3-4 anni e anche meno, giovani e vecchi attratti dagli intrusi del momento venuti a carpire l’ultimo cammino di Nelson Mandela, quello verso la sua Qunu.

Il tempo si è fermato

Questa gente, i suoi compaesani, aspettano di dare l’addio al loro re da quel lontano 5 dicembre, quando alla sua morte il tempo si è fermato negli angoli più remoti della Rainbow Nation e un altro Sudafrica è cominciato.

«Sono felice – ci dice Zanele M. – perché finalmente posso salutarlo ma sono molto dispiaciuta per non averlo potuto fare prima. Avrebbero dovuto allestire per il suo addio qui a Qunu e non a Pretoria». Tra il rimbombo degli elicotteri militari, il brusio quieto dei giornalisti arrivati per l’occasione da ogni dove e il da fare di semplici poliziotti, il ritmo delle giornate sembra quello solito, interrotto solo dalla fibrillazione tacita soprattutto di alcune donne, molte delle quali di età avanzata che in vesti tradizionali e a piedi scalzi intonano inni in xhosa inframmezzati da click melodici tipici della loro lingua, che fu anche la lingua di Mandela. «Nelson Mandela» e «Madiba» ripetono, ed è tutto ciò che comprendiamo, in una litania dalla cadenza ipnotica che ricorda quella delle prefiche di «Stendalì, suonano ancora» di Pasolini, se non fosse per il tono di gaudio manifesto che accompagna invece le lodi cantate delle donne africane per le strade fangose in attesa.

In molti indossano magliette con la faccia del loro vecchio Tata, alcune con il logo «Anc» altre con la sola data di nascita e di morte, brandendo poster con la scritta ugqatso ulufezile siyabulela, «il tuo destino è compiuto. Riposa in pace. Grazie».

Il cuore del suo popolo

Ad attendere il feretro c’era ieri il cuore del popolo di Madiba, quello tenuto ai margini degli eventi nelle capitali degli affari e della politica in giacca e cravatta di Johannesburg e Pretoria. Di origini regali Nelson Mandela lo era davvero, essendo discendente della dinastia dei Thembu, ma nella vita da attivista per i diritti umani, combattente per la libertà e capo di stato ha conquistato ben altra regalità nei cuori della gente comune più umile e traviata da decenni di razzie di regime che li ha voluti «a parte», quella di cui l’apartheid si era presa le vene e le ossa, ci ha detto un giovane di Pretoria. Quella regalità umana che si presta al dialogo con l’altro e che lascia traccia indelebile, dicendosi per questo eterna. Qual è stata l’ultima lezione di Nelson Mandela? Chiediamo. Siamo certi che benché lontano dalle imprese e dai riflettori della politica e nel silenzio degli ultimi anni, Madiba ha saputo parlare e insegnare ancora qualcosa alla sua gente in un modo che probabilmente solo la sua gente poteva capire. Milly Viljoen era un’attivista ai tempi dell’università: «Il rispetto – dice – ha continuato a insegnarci il rispetto verso l’altro. Forti di questa eredità siamo pronti ad andare avanti, nonostante le molte divisioni che ancora restano, le quali non sono razziali ma economiche. È un compito che spetta alle classi dirigenti ora ricompattarci al di là di queste problematiche che ancora non ci uniscono. Molto è stato fatto e molto resta da fare».

 

Tra le bandiere che sventolano, oltre a quelle dell’Anc e a quelle nazionali anche una un po’ differente. Attaccata a un’asta di fortuna una kefiah che fiera si lascia andare lenta al vento. «La lotta dei palestinesi per i diritti umani e per la terra è stata la mia lotta sotto il regime dell’apartheid. Terre separate e muri che li costringono a vivere a parte, come noi in quel periodo. La loro lotta è stata anche la mia lotta per i diritti, quelli che abbiamo avuto riconosciuti con Nelson Mandela presidente», ci dice Dicki Meter.

Lontano dal fragore della folla in fila verso l’Union Building e dallo show politico e diplomatico allo stadio di Johannesburg, la gente di Qunu ha quietamente atteso e salutato con danze e canti il suo Dalibhunga (convocatore di dialogo). Scortata da due caccia, la bara di Mandela ha lasciato ieri mattina la Waterkloof Air Force Base di Pretoria su un aereo militare C-130 per raggiungere l’aeroporto di Umtata verso le 2, nella provincia dell’Eastern Cape. Da lì, scortato da una catena umana lunga circa 32 km si è messo in cammino verso il paesino di Qunu.

La polizia in motocicletta, autobus con ufficiali a bordo, una lunga fila di macchine, mezzi pesanti dell’esercito hanno preceduto e chiuso il passaggio del feretro avvolto nella bandiera della Repubblica Sudafricana.

Lacrime e sorrisi, silenzi accompagnati da applausi e un ululare di gioia misto a dolore hanno dato l’addio in xhosa dei figli di questo sperduto cumulo sparso di casupole che per tutta la notte, insieme ai leader tradizionali, ha vegliato la salma. Nelson Mandela sarà sepolto questa mattina nel cimitero locale, accanto alle tombe dgli altri membri della sua famiglia.

La sua gente lo ha piano piano lasciato andare e gli avi, come vuole una tradizione del luogo, sotto un cielo di sole e di nembi e tutta la pioggia che nei giorni scorsi ha lasciato fangose le vie, si accingono ad accogliere con benevolenza l’uomo che ha lavato le ferite dell’apartheid.

 

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