La «gauche» intollerante e la crisi ideologica francese
Francia Da Sarkozy a Hollande, il razzismo è aumentato di pari passo con la crisi economica e la frattura sociale. E i lepenisti crescono
Francia Da Sarkozy a Hollande, il razzismo è aumentato di pari passo con la crisi economica e la frattura sociale. E i lepenisti crescono
La crisi attuale dell’Unione europea non è solo economica e finanziaria; è anche, forse anzitutto, una crisi politico-ideologica, come ha ribadito Slavoj Zizek. Una delle espressioni più manifeste e allarmanti di tale crisi è la presenza in Europa di settori crescenti di opinione pubblica che esprimono orientamenti intolleranti verso gli altri, di partiti di stampo populista accomunati da programmi e retoriche anti-immigrati e anti-rom, nonché di frange apertamente razziste, neonaziste, spesso anche omofobiche. Quasi ovunque la crescita dell’area dell’intolleranza è favorita dagli effetti sociali della crisi economica e dalla frattura, sempre più profonda, che divide le classi super-agiate dalla moltitudine che comprende i poveri, i salariati, i socialmente declassati e coloro che vivono nella paura, fondata, del declassamento. Hanno il loro peso anche la crisi della rappresentanza e, in buona misura, ciò che abbiamo definito razzismo democratico, praticato da partiti di centro e finanche di sinistra, che cercano di riconquistare popolarità e consenso elettorale attraverso la competizione con la destra.
Esemplare è il caso della Francia attuale, che vede una società sempre più segmentata, segnata da difficoltà crescenti di convivenza tra diversi, afflitta da una grave crisi anche identitaria. Qui la spettacolare avanzata elettorale del Front National guidato da Marine Le Pen ha innescato un processo di rincorsa a destra dei partiti di centro e perfino di sinistra sui temi dell’identità nazionale, dell’immigrazione, della presenza dei rom, del ruolo dell’islam. Le Pen ha avuto la furbizia d’imbellettare il suo discorso con retoriche quali la difesa della laicità e dei valori repubblicani, rendendo così più digeribile il suo programma, che resta comunque sostanzialmente razzista.
È nel tentativo vano di contrastare l’ascesa del Front National, sottraendo ai lepenisti lo scettro sicuritario, che Nicolas Sarkozy, fin dall’esordio come presidente della Repubblica, indurisce la politica dell’immigrazione e promuove un dibattito sull’identità nazionale, la cui idea di fondo, implicita, è depurare la nazione dalle scorie degli estranei.
La mediocre presidenza di Sarkozy all’insegna di legge-e-ordine, ma solo per gli altri (lui è al centro di numerosi scandali politico-economici), ha lasciato un segno profondo nell’opinione pubblica e nella classe politica: si pensi alla torsione dell’Ump, il suo partito, in senso intollerante, in qualche caso apertamente razzista, e alla politica che poi esprimerà il Partito socialista su questioni riguardanti l’immigrazione e soprattutto la “questione rom”. Se si considera che la popolazione rom presente oggi in Francia non supera le ventimila persone, di cui la metà bambini, si può cogliere quanto tale “questione” sia gonfiata ad arte, rinverdendo la diffusa ostilità antizigana, tratto costitutivo della storia francese, così come la tendenza a fare dei rom il capro espiatorio.
In particolare, dalla presidenza di Sarkozy fino a quella di Hollande, contro i rom sono aumentati gli enunciati e gli atti razzisti o comunque irrispettosi di diritti umani basilari: sgomberi violenti degli insediamenti irregolari, talvolta sollecitati anche da sindaci di sinistra o di estrema sinistra; espulsioni in massa di persone inespellibili in quanto cittadini dell’Unione europea; perfino attacchi con acido corrosivo da parte di “persone esasperate”, nel cuore di Parigi.
Mentre parteggiava per la cancellazione della parola «razza» dalla Costituzione, il ministro dell’Interno, il socialista Manuel Valls, riabilitava il buon vecchio razzismo sostenendo, il 24 settembre 2013, l’inassimilabilità dei rom; in continuità, in fondo, con ciò che un paio di mesi prima aveva osato dichiarare Gilles Bourdouleix, deputato-sindaco dell’Udi, altro partito detto di centro: «Hitler non ne ha uccisi abbastanza».
«Si cancella il nome per far riapparire l’innominabile», ha osservato il filosofo Michel Feher in un’intervista per Les Inrocks. Il razzismo pudico, da benpensanti, differenzialista, come lo avevamo definito, ormai lascia spesso il posto a quello che si esprime, anche sguaiatamente, con attacchi e insulti razzisti classici: per esempio, quelli contro la ministra Christiane Taubira, schernita perfino da un gruppo di bambini agitanti banane, aizzati da genitori ostili al “matrimonio per tutti”. Intanto, come denuncia il rapporto più recente elaborato dalla Cncdh (Commission Nationale Consultative des Droits de l’Homme), l’anno 2012 ha visto, accanto alla progressione dell’islamofobia di sempre, «un ritorno inquietante» dell’antisemitismo e, per il terzo anno consecutivo, l’aumento di atti razzisti contro persone presunte di religione musulmana, identificate esclusivamente nei maghrebini,sul fondo di una diffusione allarmante della xenofobia e dell’intolleranza, e della liberazione pubblica del discorso razzista.
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