Nella vicenda del cubismo si è soliti distinguere fra un nucleo originario, costituito da Georges Braque e Pablo Picasso, e un più vasto gruppo di artisti che, all’alba del secondo decennio del ventesimo secolo, si mette sulle tracce dei pionieri del movimento. Sin lì l’avanguardia francese aveva parlato la lingua di Henri Matisse e dei Fauves, e aveva giocato le sue carte sul potere espressivo del colore, steso a tinte piatte e vivaci, e sulle eleganze arabescate di linee di contorno mosse e sintetiche.

Con l’inizio della nuova decade l’asse gravitazionale cambia e l’avanguardia parigina inizia a ruotare attorno al nuovo stile inventato da Braque e Picasso nei tre anni precedenti. Nasce il cosiddetto «cubismo dei Salon», così chiamato perché (a differenza dei fondatori) gli artisti che ne fanno parte espongono nelle mostre annuali degli Indipendenti e al Salon d’Automne. Inoltre, creano essi stessi il Salon de la Section d’Or, la sezione aurea, un nome che dà l’idea di una cultura figurativa basata su geometrie astratte, eufoniche, rivolta alla ricerca di un mondo ideale, nascosto dietro l’apparenza sensibile.

Il cubismo dei Salon è stato anche definito «eretico» rispetto a un’ortodossia costituita dal lavoro di Braque e Picasso: l’eresia consisteva nel lasciare spazio ad aspetti che il rigorismo dei fondatori aveva intenzionalmente eliminato, principalmente il dinamismo e il colore. Del cubismo di Braque e Picasso in quello dei Salon permane, tuttavia, più o meno consapevolmente e compiutamente sviluppato, il tema di fondo: giocare con le forme come si gioca con le parole, evocare oggetti con sigle grafico-pittoriche che assumono un senso a dipendere dal contesto in cui si trovano.

Non si tratta tuttavia di un fenomeno unitario: ne fanno parte personaggi di prima fila (ad esempio Robert Delaunay, Juan Gris, Fernand Léger, i fratelli Duchamp, Piet Mondrian) e pittori meno illustri. Fra questi ultimi, però, alcuni ebbero ruoli organizzativi e teorici rilevanti; Albert Gleizes e Jean Metzinger, ad esempio, nel 1912 firmano insieme Du cubisme, primo testo in cui la parola cubismo, definizione finalmente rivendicata e non subita, compare nel titolo. L’anno successivo Guillaume Apollinaire pubblica il libro Les peintres cubistes, con il quale delinea la prima mappa di un fenomeno divenuto ormai plurale, che coinvolge la gran parte dell’arte moderna parigina.

È in questo clima che comincia a esporre il suo lavoro Roger de La Fresnaye (1885-1925), cui il Museo d’arte di Mendrisio dedica la mostra Roger de La Fresnaye Il nobile cubista, aperta sino al 4 febbraio del 2024, a cura di Barbara Paltenghi Malacrida (con Francesca Bernasconi).

Nobile La Fresnaye lo è davvero: appartiene a una famiglia aristocratica e colta, di idee conservatrici. Studia all’Académie Julian a Parigi, dove si trasferisce con i suoi nel 1902, e poi all’École des Beaux-Arts, e ancora, a fine decennio, all’Académie Ranson, dominata dai simbolisti Paul Sérusier e Maurice Denis: l’influenza del secondo è forte, ad esempio, nel Ritratto di Maria Zimmern, del 1909. Attraverso le amicizie maturate negli ambienti d’avanguardia, lo stile di La Fresnaye si aggiorna, si avvicina ai Fauves, ma già nell’Eva in piedi, del 1910, si fa strada un contatto con Picasso, in particolare con la Driade, fonte sviluppata in una chiave meno «africana» ed esplosiva di quella picassiana, ma tuttavia presente.

Le eleganze simboliste vengono ugualmente scosse da un fremito primitivista anche, ad esempio, nelle illustrazioni (1911) per il dramma Tête d’Or, di Paul Claudel (1895).

In quello stesso 1911 il contatto dell’artista con il cubismo si precisa, dapprima nei modi un po’ meccanici del Paysage de la Ferté-sous-Jouarre, dove nelle case e nel paesaggio prevalgono gamme scure e geometrie semplificate, come di un pittore che avesse deciso di apprendere quasi da zero una lingua nuova. L’artista nel cubismo sembra cercare (come osservò Germain Seligman) un modo di dare ordine al continuum della percezione mediante la «logica delle sensazioni organizzate» di cui aveva parlato il vecchio Paul Cézanne a Émile Bernard. Per La Fresnaye (lo scrive in un testo del 1913) l’arte nel suo corso millenario ha trasformato lo sguardo in fattore di coscienza e ha reso possibile al pittore di intuire «forme precise» nel «caos» che i sensi gli presentano.

Negli anni immediatamente successivi al 1911 La Fresnaye trova punti d’approdo più sicuri, con quadri in cui figure e oggetti sono investiti da un dinamismo pervasivo, che risente dell’arte di Fernand Léger (La vie conjugale, 1912-’13). Oppure con opere intrise di luce, in rapporto con l’orfismo di Delaunay, senza tuttavia mai varcare la soglia dell’astrazione. Nascono così le sue opere più note, come La conquête de l’air (1913), conservato al MoMA di New York e non presente in mostra, dove è però evocato da una riproduzione xilografica a colori di mano dell’artista.

È un momento di grazia nella creazione di La Fresnaye, quando si susseguono i capolavori, ad esempio la natura morta Le Diabolo (1913), costruita su un reiterarsi di forme geometriche rettangolari e triangolari leggibili di primo acchito come astratte. Alcune piccole accentuazioni tuttavia – ad esempio l’occhiello circolare che trasforma il triangolo in una squadra da disegno – le riconducono al mondo delle cose di ogni giorno, affastellate intorno all’enigmatica sagoma a clessidra bianca e blu del diabolo. Il gioco tra forme potenzialmente astratte, ma riportate mediante qualche ironica allusione all’esperienza ordinaria, è presente anche nella fase sintetica di Picasso e Braque. La Fresnaye riprende da qui il gioco, scoperto, fra realtà e finzione, la dimensione leggera e divertita che motiva la definizione di «cubisme drolatique» coniata nel 1927 per l’artista da Waldemar-George, come ricorda Federico De Melis nel saggio in catalogo.

Benché riformato alla leva, La Fresnaye, che veniva da una schiatta patriottica e conservatrice, si arruola volontario, e il suo apparato respiratorio, già debole, è compromesso definitivamente dalla vita militare. Congedato dopo due emorragie polmonari e non guarito dai ripetuti soggiorni in sanatorio, nel 1920 l’artista si trasferisce a Grasse, nel mezzogiorno di Francia, dove muore a soli quarant’anni nel 1925. Nell’ultima stagione della sua vita La Fresnaye continua a dipingere, sempre meno, ma con grande finezza. Le curatrici della mostra, con scelta intelligente, mettono in copertina del catalogo un particolare di Le Prestidigitateur, una magnifica natura morta del 1921-’22, e sulla quarta di copertina un ritratto dipinto nel 1920, che raffigura Jean-Louis Gampert, artista svizzero e compagno dell’artista, presenza affettuosa e costante negli ultimi anni di vita.

I due quadri mostrano ispirazioni diverse, per tanti versi opposte: Gampert è elegantemente vestito, seduto in poltrona in un interno borghese, ed è visto mentre distoglie lo sguardo da un libro che tiene vicino a sé e rivolge gli occhi azzurri, dalle occhiaie gonfie, verso un punto esterno al perimetro del quadro. Il trattamento della superficie, liscia e compatta, si rifà alla grande tradizione dei ritratti di Ingres, cui si riferiscono anche la posa della persona ritratta e il saldo incastro fra i profili mossi della figura e della poltroncina su cui siede e le linee rette del libro e della cornice dello specchio sul fondo.

Il prestigiatore è invece un quadro la cui sintassi dipende largamente dal cubismo sintetico; il dipinto è costruito infatti per piani sovrapposti, scalati in uno spazio di profondità minima, dove si affollano un castello di carte, due dadi, una palla, l’evocazione di un volto, una mano che si disegna su un rettangolo bianco… Una mescolanza di elementi in cui pare aggiungersi un elemento di mistero e meraviglia dovuto al ricordo delle nature morte d’anteguerra di Giorgio de Chirico. La pluralità dei linguaggi fa pensare a Picasso, capace, tra la fine degli anni dieci e l’inizio dei Venti, di dipingere le due versioni dei Tre Musicanti (entrambe del 1921), realizzate ancora nello stile del cubismo sintetico, e il Ritratto di Ol’ga seduta (1918), pensato sul rovescio dei ritratti femminili di Ingres… Ma nel libero gioco dei segni inventato dal cubismo, le diverse convenzioni dell’arte possono convivere in parallelo o talvolta intrecciarsi, e tutto diventa possibile.