La frattura necessaria contro l’epoca americana più buia
Oggi l'insediamento di Biden il discorso che pronuncerà Biden dovrà segnare una netta linea di demarcazione tra quel che è avvenuto fino alla giornata di oggi e quel che accadrà da oggi in poi
Oggi l'insediamento di Biden il discorso che pronuncerà Biden dovrà segnare una netta linea di demarcazione tra quel che è avvenuto fino alla giornata di oggi e quel che accadrà da oggi in poi
Le ore finali della presidenza Trump ne sintetizzano poderosamente quel che essa ha significato, per l’America, per il mondo, dal 20 gennaio 2017 a oggi.
Ore che il presidente ha trascorso con familiari, legali e consigliori per le ultime misure di perdono presidenziale. Per se stesso, innanzitutto. Per l’ineffabile Rudy Giuliani, per l’anima nera Steve Bannon, per i figli Eric e Donald, dopo aver già graziato altri illustri personaggi come Michael Flynn, Roger Stone, George Papadopoulos e Alex van der Zwaan.
UNA LISTA DI CANAGLIE che dà conto di quel che è stata la Casa bianca di Donald Trump. Racconta di figuri che si sono aggirati nello studio ovale partecipando alle decisioni cruciali prese dal commander-in-chief. Un commander-in-chief con al seguito la nuclear football, la famosa valigetta da cui è possibile dare il via a 6.185 testate nucleari, a innumerevoli olocausti atomici.
Già: in queste ultime ore della presidenza uscente s’è parlato della nuclear football, ancora in dotazione di Trump fino al giuramento di Biden. Se n’è discusso, perché l’assenza del 45mo presidente alla cerimonia d’insediamento del suo successore complicherà il passaggio della valigetta atomica.
Per alcune ore entrambi disporranno ognuno di una copia dei codici della nuclear football. Grande è l’inquietudine al pensiero di come la superpotenza atomica, per alcune ore, sia impigliata in una procedura che di fatto ne paralizza il potere decisionale proprio nel punto nevralgico più delicato dei suoi apparati. Ma a parte quest’ipotesi estrema, fa comunque rabbrividire, retrospettivamente, che l’arsenale atomico sia stato per quattro anni nelle mani di Trump e dei suoi accoliti, quei gran signori in attesa del suo pardon.
TRUMP ESCE DUNQUE dal suo bunker ancora presidente, anche se l’impeachment e procedimenti giudiziari, a livello statale, l’inseguiranno, a dispetto del perdono presidenziale che riguarda i reati federali. Vola in Florida con l’idea di trasferire a Mar-a-Lago il suo quartier generale, trasformandolo in una sorta di Casa bianca alternativa, e atteggiandosi a presidente illegittimamente deposto, che continua la missione alla guida del suo popolo.
Se Trump ha spiazzato tutti nella sua prima campagna elettorale, quella della sconfitta di Hillary, se ha stupito ancor di più come presidente in carica, stupirà molto di più come ex-presidente che non si comporta affatto come ex. Un film mai visto prima.
IL SERIAL DI TRUMP continua, sotto la spinta di una parte consistente dei suoi quasi 75 milioni di elettori, il sostegno di settori non trascurabili degli apparati federali, il suo deep state, l’eco di potenti media amici. C’è un pezzo bello grosso d’America pronto a seguirlo nel suo esilio a Palm Beach
Obiettivo prioritario di Joe Biden, un minuto dopo il suo insediamento, è far sì che un simile film non inizi neppure. Le misure legali saranno messe in azione, certo, ma con accortezza però, perché c’è l’evidente problema che giuste sacrosante procedure nei suoi confronti lo colpiscano e lo blocchino senza però trasformarlo in martire agli occhi della sua base.
LA PARTE DELLA VITTIMA è una di quelle che gli riescono meglio e una delle più gradite alla sua platea. Il culto di Tump raggiunge vertici di sublime pazzia collettiva quando fa il perseguitato. Dovrà essere soprattutto la politica a metterlo ai margini. La cerimonia stessa d’insediamento, il discorso che pronuncerà dovranno segnare una netta linea di demarcazione tra quel che è avvenuto fino alla giornata di oggi e quel che accadrà da oggi in poi. Ma saranno soprattutto le prime decisioni operative a segnare la discontinuità.
VA IN QUESTO SENSO il consistente piano da 1.900 miliardi di dollari di contrasto alla pandemia, a cui seguirà un pacchetto di misure per dare una scossa alla ripresa, un programma di stimoli annunciato a cinque giorni dal suo giuramento, immaginato anche per allentare la tensione estrema che grava sulla stessa cerimonia dell’Inauguration Day.
Su questo terreno, del soccorso concreto e immediato e del sostegno alla ripresa, il vecchio democratico sa rivolgersi alla classe lavoratrice, anche a quei settori che hanno voltato le spalle ai democratici e si sono uniti al culto di Trump.
Non meno rilevante, e altamente simbolica, la misura che prenderà oggi stesso, volta a creare percorsi agevolati per il conseguimento della cittadinanza per tanti residenti senza permesso e perseguitati dall’amministrazione Trump, un bill di oltre cento pagine che realizza una promessa elettorale, rivolta soprattutto ai latinos, che rovescia la politica di chiusura all’immigrazione che ha segnato e caratterizzato la presidenza uscente.
Un buon inizio, una vera frattura con l’epoca più buia della recente storia americana.
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