Cultura

La fotografa che amava il gospel

La fotografa che amava il gospelIsabel Croft mentre salta a corda, Brooklyn, 1972

Ritratti Se ne va a 66 anni Arlene Harriet Gottfried. Per decenni aveva immortalato l'ordinary people di New York, con uno sguardo speciale su Coney Island

Pubblicato più di 7 anni faEdizione del 13 agosto 2017

«Quando mia madre è venuta a sapere che cantavo in un coro gospel, ha cominciato a chiamarmi la singer photographer». Un epiteto che a Arlene Gottfried piacque più di ogni altro e che fece subito suo, firmandosi negli anni in quella maniera. D’altronde, la «fotografa-cantante» proprio a sua madre ha dedicato un lavoro meraviglioso, Mommie. Raccolto in una pubblicazione l’anno scorso è una sorta di album, sentimentale e asciutto, in cui si narra il passare del tempo attraverso tre generazioni di donne della sua famiglia.

TRA LE PAGINE, si raccontano sprazzi di esistenze comuni, nonostante l’occhio le attraversi con un affetto particolare e nonostante sia necessario inventariare i segni della malattia. «Bisogna prendersi tutto il rischio di guardare anche ciò che non ci piace, che è ruvido. Questo è un punto cruciale per la mia arte: apprezzo la bellezza, ma al mondo non esistono solo cose graziose. Mommie è stato per me molto difficile da realizzare: il declino di mia madre era inarrestabile e io ho scelto di documentarlo. Alla fine, la storia si conclude con la nascita di mio nipote, quindi con una nota emozionante e positiva».

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Arlene Gottfried fotografata da Kevin C. Downs

Arlene Harriet Gottfried, sorella dell’attore comico Gilbert, se n’è andata a 66 anni a causa delle complicazioni dovute a un cancro al seno. A lei dobbiamo un formidabile archivio di immagini della quotidianità degli abitanti (ordinary people) di New York, accarezzata con uno sguardo vivido, che spesso getta le reti in direzione di Coney Island, suo luogo d’infanzia e di corse sfrenate con i fratelli sulla spiaggia. Un po’ come fece l’insolita Vivian Maier, macchina alla mano e obiettivi interscambiabili, Arlene Gottfried girava per le strade metropolitane, scovando storie, corpi e volti in ogni angolo. Soprattutto, mantenendo ben salde le sue ossessioni per alcuni tipi di soggetti. E alzando il livello della sfida verso l’establishment. Come quando, per 18 anni, ha seguito le tracce di Midnight, ballerino in promiscui club, truffatore e pure rapinatore di banche, con cui ha intrattenuto un rapporto amichevole per due decenni. Da quella frequentazione è nato un libro come The Eternal Life (1999), un diario visivo delle sue giornate migliori e dei suoi allucinatori stati mentali: 98 fotografie a colori, disposte in ordine cronologico, mostrano Midnight, in maniera molto confidenziale, in mini-cucine, mentre dorme, nella stanza d’ospedale. E testimoniano senza tabù il disfacimento in atto di una esistenza. In fondo, erano gli stessi anni delle amare «registrazioni» di vita, intensamente  e disperatamente, vissuta di Nan Goldin.

LE IMMAGINI di Gottfried sono intime e informali, ritraggono senza infingimenti gli attacchi di schizofrenia paranoica, i comportamenti estremi, gli infiniti cicli di ricoveri e internamenti nelle carceri. A lei interessava indagare il bilico, lo stato latente tra normalità e follia che aveva colto un uomo di bell’aspetto, con un lavoro seducente come quello del ballerino, finito a mutilarsi per acute sofferenze psichiche.

Nata a Coney Island nel 1950 e poi cresciuta a Brooklyn, Arlene Gottfried studiò al Fashion Institute of Technology di New York e agli esordi della sua carriera lavorò presso un’agenzia pubblicitaria, prima di trasformarsi in una freelance per pubblicazioni come The New York Times Magazine, Life e Newsweek. Ma la sua vera passione rimase sempre lo scatto al volo, il ritratto «rubato», che lei spesso condiva con una spruzzata di umorismo – rilevabile nelle pose còlte dal suo obiettivo o nelle composizioni delle immagini, date per contrasto di soggetti o di azioni impreviste (la lezione sotterranea è quella di Diane Arbus e anche di Lisette Model).

LE COMUNITÀ che immortalò durante gli anni Settanta e Ottanta erano quelle di una città eccentrica, dagli «addicted» della discoteca e della sua musica techno fino ai cori di gospel, che frequentava e a cui prestava la sua voce (inaugurando una sorta di seconda vita negli anni Novanta, emergendo anche come solista).
Fra le icone ricorrenti della sua produzione ci sono i culturisti. È divenuta celebre, infatti, la foto in cui un body builder posa nudo, accanto a un ebreo ortodosso vestito di tutto punto, utilizzata per la copertina del suo libro Sometimes Overwhelming (uscito nel 2008).

Sebbene Arlene Gottfried sia stata una figura conosciutissima dagli editori, il suo nome non ha mai circolato tra il grande pubblico e solo in anni recenti il suo lavoro ha cominciato a uscire dall’ombra, grazie a una serie di mostre americane ed europee, in Francia e Germania. Il suo motto? «Vedo solo le cose che mi parlano», era solita affermare.

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