La forza egemonica del grande banalizzatore
Il linguaggio della politica Il vecchio riduzionismo spodestato dalla scienza continua a esercitare la sua egemonia in molti campi del sapere diffuso, soprattutto in politica. Da Berlusconi che pensava che il Paese-Italia fosse assimilabile a una delle sue tante aziende, a Salvini che agita la leggenda semplificatrice del «prima noialtri» e fino al M5S che concepisce il pensiero che il Parlamento sia un ostacolo al dispiegarsi della politica
Il linguaggio della politica Il vecchio riduzionismo spodestato dalla scienza continua a esercitare la sua egemonia in molti campi del sapere diffuso, soprattutto in politica. Da Berlusconi che pensava che il Paese-Italia fosse assimilabile a una delle sue tante aziende, a Salvini che agita la leggenda semplificatrice del «prima noialtri» e fino al M5S che concepisce il pensiero che il Parlamento sia un ostacolo al dispiegarsi della politica
Cosa c’è di unificante nel linguaggio e nei discorsi di tutte le parti politiche che produce l’attuale egemonia culturale? Perché non c’è dubbio che, fatta qualche irrilevante distinzione, esse parlano lo stesso linguaggio, usano la stessa grammatica e adottano gli stessi simboli.
Tuttavia questo linguaggio riscuote “successo” tanto da diventare luoghi comuni e da produrre una indiscussa egemonia culturale. Nel campo delle Grandi Opere, ad esempio, vale il principio che esse siano indispensabili, quasi “naturali”: perché non costruire treni che viaggiano sempre più veloci, fare buchi nelle montagne che uniscono luoghi fino ad allora separati, perché non continuare a trivellare il suolo se possiamo ricavarne energia e, dunque, sviluppo e perché non fermare il mare che invade la lacuna di Venezia con un semplice dispositivo meccanico? A questa forza persuasiva del riduzionismo occorre ogni volta contrapporre argomentazioni più articolate e complesse, ben più difficile da spiegare e ancor più da comprendere.
Il banchiere inglese Thomas Gresham, nel XVI secolo, affermava l’assunto secondo il quale la moneta cattiva scaccia sempre quella buona. Letta ai nostri giorni essa può tradursi in questi termini: le idee ultrasemplificate prevalgono sempre su quelle nuove e complesse. Cosa c’è di più meccanicistico che affermare che le istituzioni intermedie non servono considerato che il popolo è in grado di riconoscere i propri bisogni più di chiunque altro e, dunque, di governarsi da solo?
Il riduzionismo come metodo conoscitivo è non solo alla base della scienza moderna, ma è anche uno dei pilastri del pensiero occidentale. La sua invenzione si deve a Galilei che, per primo, separò il singolo fenomeno dal contesto in cui si sviluppava inaugurando il moderno metodo scientifico: scomporre le parti, recidere le connessioni, osservare dall’esterno distaccati. Questo metodo ha portato indubbi progressi; servì a Galilei per superare le vecchie descrizioni metaforiche utilizzate in epoche precedenti e a dimostrare, con Newton, che fenomeni apparentemente diversi potevano essere facilmente spiegati con un’unica legge (per esempio la legge gravitazionale).
Ma lo stesso Galilei e soprattutto i suoi epigoni si sono spinti bel oltre fino a dichiarare che la natura è scritta nel linguaggio della matematica, ovvero trasformando il riduzionismo metodologico in riduzionismo ontologico che, secondo le parole di Marcello Cini: «È un processo conoscitivo in cui la mente proietta le sue categorie sulla realtà per ordinarla estraendone oggetti e relazioni».
Nella sfera della politica questo processo ha assunto una sua dimensione particolare: Berlusconi pensava che il Paese-Italia fosse assimilabile a una delle sue tante aziende, Salvini agita la leggenda semplificatrice del «prima noialtri» e ora il M5S concepisce il pensiero che il Parlamento sia un ostacolo al dispiegarsi della politica. Il riduzionismo è alla base di ogni pensiero neoliberista e sovranista ne costituisce il substrato ideologico.
Il mondo, malgrado i processi della scienza che ha ridimensionato l’ambito dei fenomeni descrivibili mediante separazione dal contesto, resta, nel linguaggio comune, una macchina banale. Questa è l’egemonia culturale dei nostri tempi: semplificare e banalizzare tutto. Siamo circondati da banalizzatori: se una macchina non parte vai dal banalizzatore meccanico che la ripara, ma anche se il tuo fegato non funziona c’è il chirurgo banalizzatore che lo sostituisce, come se il corpo fosse composto di pezzi separati. E tutto questo contrasta con la complessità del mondo in cui viviamo, con la complessità del nostro quotidiano dove sofferenze, dolori e gioia non sono riconducibili a spiegazioni semplificanti.
Nella scienza il vecchio riduzionismo viene ancora talvolta utilizzato ma ben sapendo che il suo campo d’azione è limitato. La quasi totalità dei fenomeni, dagli organismi viventi alla biosfera fino anche a semplici fenomeni fisici, appartiene al regno della complessità dove man mano che tali fenomeni evolvono compaiono proprietà emergenti e sconosciute che non sono riconducibili alle proprietà delle singole parti.
Sappiamo che non è possibile fare previsioni attendibili di eventi meteorologici, come ci insegna il ben noto “effetto farfalla” secondo il quale una tempesta in un determinato luogo può essere causata da un insignificante evento atmosferico prodotto in un luogo lontanissimo.
Tuttavia il vecchio riduzionismo spodestato dalla scienza continua a esercitare la sua egemonia in molti campi del sapere diffuso, soprattutto in politica. I politici hanno dimenticato la lezione di Machiavelli che da essi pretendeva in prima istanza che fossero sopratutto bravi educatori.
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