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La fisica, i generi e il grande schermo

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Cinema Da «Memento» A «Tenet», viaggio attraverso le passioni di Christopher Nolan

Pubblicato circa 4 anni faEdizione del 26 agosto 2020

«Posso solo prendermi la responsabilità di finire il film e cercare di farne una forma di intrattenimento per cui valga la pena tornare in sala», aveva detto Nolan in un’intervista con «Entertainment Weekly» mesi fa, quando ancora l’uscita di Tenet era prevista a luglio. Da allora, le pressioni su Tenet affinché «salvi» la sala cinematografica dalla pandemia non hanno fatto che crescere a dismisura, e lo stesso Nolan si è impegnato con un editoriale sul «Washington Post» dello scorso marzo a sollecitare degli aiuti governativi per i cinema, e per i lavoratori delle sale che il virus ha lasciato a migliaia senza occupazione.

LA SUA PASSIONE per la sala è nota, così come lo è quella per la pellicola e per gli effetti «concreti» del cinema – ai Pinewood Studios aveva costruito un intero quartiere di Gotham City per Batman Begins, in The Dark Knight per raccontare una delle malefatte di Joker ha ripreso la vera demolizione di un ex ospedale – e non gli «schermi verdi» su cui creare con la computer grafica qualunque effetto speciale, o qualsiasi location. «Penso che se si va a lavoro un martedì e c’è lo uno schermo blu, che viene cambiato il mercoledì con un greenscreen, a nessuno importerà tanto. Ma se si è a Tallinn in Estonia, si sale su un aereo e ci si ritrova ad Amalfi (entrambe location di Tenet, ndr) è un cambiamento di scena incredibile, che porta con sé una sensazione che si trasmette al film». Un’altra passione nolaniana che si ritrova in Tenet è quella per la scienza, di cui fa parte la manipolazione del tempo che da Memento in poi torna in quasi tutti i suoi film. Anche per Tenet, come già per Insterstellar, il regista si è servito della consulenza del fisico Kip Thorne per ancorare la fantascienza del film a teorie scientifiche più o meno solide e affermate.

SULLA SCIENZA di Interstellar – che racconta di viaggi nello spazio, e dunque inevitabilmente anche nel tempo – Thorne ha addirittura scritto un libro, The Science of Interstellar, in cui affronta le varie teorie scientifiche – e le speculazioni ancora non dimostrate -su cui si articola il film, dai buchi neri alla quinta dimensione. In Tenet invece Thorne «guida» Nolan nel campo che più sembra affascinarlo: il tempo e la sua destrutturazione rispetto alla freccia tesa in avanti sotto forma della quale tutti lo percepiamo. Tenet, spiega Nolan, «si confronta con il tempo e i diversi modi in cui può funzionare». Nella sua introduzione a The Science of Interstellar, il regista aveva scritto: «Kip mi ha insegnato la caratteristica che definisce la scienza – la sua umiltà di fronte alle sorprese della natura. Questa attitudine gli ha consentito di apprezzare le possibilità offerte dalla finzione speculativa nell’avvicinarsi ai paradossi e all’inconoscibilità da una diversa prospettiva: lo storytelling».

La storia, il racconto, il genere: la «matrice» entro cui Nolan si è sempre mosso sin dai suoi esordi nel noir. Nel caso di Tenet, quella dei Bond movies fatti di spie e intrighi internazionali: «Tenet è il mio tentativo di riproporre quel genere di filmmaking, e risvegliare parte del fascino che quei film avevano per me quando da bambino sedevo in un cinema di Londra, guardando uno schermo gigante e venendo trasportato attraverso tutto il mondo – in posti in cui non potevo andare – e in situazioni eccezionali in cui non mi sarei mai potuto trovare».

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