C’è qualcosa d’inafferrabile nella situazione attuale del Paese. Da un lato l’Istat rivede, di poco, le stime di crescita su base annua dall’1,8 all’1,7% del 2017 con un lieve miglioramento degli investimenti, dall’altro il Censis sottolinea che la crescita c’è, ma con dei problemi di struttura non banali:  il rimpicciolimento demografico del Paese, la povertà del capitale umano immigrato, la polarizzazione dell’occupazione che penalizza l’ex ceto medio. Nel frattempo il 2 dicembre un pezzo del Paese (Cgil) scende in piazza per denunziare il sentiero stretto del governo Gentiloni che non riesce ad alzare lo sguardo oltre la Legge di Bilancio per il 2018. Il sistema previdenziale del paese è plasmato per produrre povertà nel futuro, soprattutto per i giovani i quali devono anche fare i conti con un mercato del lavoro che li penalizza oltre ogni ragionevole limite. Se possiamo fare una sintesi dello sforzo titanico che una parte della società affronta il 2 dicembre, possiamo ricordare «Lavoro, Davide contro Golia» (il manifesto, 28/03/2015).

I libri di storia commenteranno questi giorni come l’abbaglio e l’eclissi della ragione, ma, purtroppo, dobbiamo vivere il nostro tempo, ed è un tempo durissimo.
Complessivamente abbiamo più di 6 milioni tra disoccupati e inattivi che non lavorano e ci accontentiamo di far pagare meno lo stesso lavoro alle imprese? Davide contro Golia e la ragione contro la calunnia sono qualcosa di più di una semplice provocazione.

In realtà viviamo la Storia e con la Storia dobbiamo fare i conti. La crisi del 2007, più lunga e profonda di quella del ’29, interroga le istituzioni preposte al governo dell’economia e della società, diventata più grande e più piccola allo stesso tempo. Recuperare Roosevelt è un passaggio fondamentale, così come è fondamentale comprendere che non possiamo adottarlo allo stesso modo. In altri termini, siamo seduti sulle spalle di giganti che hanno aperto una prospettiva di politica economica inedita, ma l’attuale classe dirigente dovrebbe interpretare queste idee e costruire un paradigma all’altezza della sfida che ci attende. Diversamente, «finché un nuovo orizzonte politico e intellettuale, di principi, di governo della società, di creazione della ricchezza, di concezione dei rapporti sociali rimarrà inarticolato e non riuscirà a generare una mobilitazione di massa, l’imprinting farà riapparire le idee neo liberali come unica saggezza convenzionale che l’opinione pubblica ha più facilità a percepire e a cui finisce per aggrapparsi». (S. Biasco).

Non è la prima volta che succede, ma questa crisi sembra più difficile da sciogliere. Il dibattito politico e sociale richiama spesso le grandi coppie del capitalismo (capitale/lavoro), ma il capitalismo non si esaurisce nella coppia capitale-lavoro. Nel frattempo si è consolidata la finanza; è sempre esistita ed ha spesso anticipato i cicli economici, così come li ha esasperati. Se osserviamo lo stato di salute del lavoro e del capitale, possiamo solo rappresentare l’ininfluenza e l’incapacità di questi nel delineare equilibri superiori; un aspetto che richiama la rappresentanza d’interessi particolari in un sistema economico diventato sempre più interdipendente.

Il capitalismo evolve, e nella crisi ricostruisce se stesso su altre basi e fondamenta. In molti possono vedere Marx in questa banale constatazione, ma c’è qualcosa che la formula non può dirci: la storia dell’economia, del lavoro e del capitale, delle grandi e piccole crisi, è scritta certamente con il concorso del capitale e del lavoro, ma sempre con altre istituzioni. Diversamente sarebbe inconcepibile la società del ben-essere, financo del così detto diritto liberale che ha mutato il segno e il contenuto della coppia capitale-lavoro. Il capitale, il lavoro e la sua rappresentanza, lo Stato diversamente declinato, hanno un compito paradigmatico. Se è finita un’era economica e politica e contemporaneamente non s’intravedono le nuove istituzioni del capitale, è il momento di liberarsi dai pregiudizi e dalle aspettative personali. Solo le idee possono cambiare il nostro tempo e quello che ancora ci appartiene. L’appuntamento del 2 dicembre è come la fionda di Davide che colpisce Golia. Speriamo con lo stesso esito.