Debitamente disossata, snellita nel testo e alleggerita nei tempi, ma non destrutturata (salva è la barbarica linfa che la pervade), la dannunziana Figlia di Iorio nella messinscena curata per il Teatro di Buti da Dario Marconcini, rasenta la melodia, densa e rarefatta insieme, di una arcana ballata pastorale. E allora, lì nell’aia, nella pubblica piazza o sul palcoscenico, tutto deve essere chiaro. Visibile e comprensibile senza inutili ghirigori e barocchismi da mattatori. Alla luce del sole o delle fiamme. Dario Marconcini da sempre lavora per sottrazione, che sia Shakespeare, che siano le cantate dei Maggi o le tragedie classiche, che...