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La fiera apolide dei ritmi del mondo

La fiera apolide dei ritmi del mondoFanfara Tirana e Transglobal Underground – foto Yannish Psathas

Festival 300 artisti e 2 mila delegati a Cardiff, torna Womex con i suoni e gli stili che arrivano da cento paesi dei cinque continenti

Pubblicato circa 11 anni faEdizione del 1 novembre 2013

Ha fatto tappa nel fine settimana a Cardiff il Womex, la fiera itinerante delle musiche del mondo che ha radunato in Galles 2.250 delegati e più di 300 artisti da circa cento paesi dei cinque continenti. La formula è consolidata: di giorno stand, dibattiti, proiezioni e primi showcase, la sera concerti e dj set. Avveniristiche le location: alla Motorpoint Arena, gestita da Live Nation, la brulicante attività diurna; al Wales Millennium Centre, affacciato su una baia piena di locali, la vita serale tra cinque palchi. Sotto il profilo degli spettacoli, 60 da 40 paesi differenti, il cartellone si conferma inevitabilmente schizofrenico. Progetti arditi si alternano a gruppi folk tout court, il jazz tesse la sua tela apolide, l’Africa, l’Asia e l’America Latina sfoggiano i loro colori, mentre la compagine di casa vive il festival come la prima vetrina della volata lunga che vedrà il Galles celebrare nel 2014 il centenario della nascita dell’eroe letterario nazionale, Dylan Thomas.

Va da sé che a scuotere l’audience sia chi osa, mescola i linguaggi, si sforza di andare oltre l’idea obsoleta di porgere al mondo una tipicità. È il caso di Filastine & Nova, elettronica, voce e percussioni che scuotono il teatro di maggior prestigio. Filastine è accreditato come statunitense, ma vive a Barcellona e si sente dai pruriti di rumba catalana che scuotono la sua miscela dubstep, electro, minimal. Nova è la vocalist e percussionista indonesiana che offre un valore aggiunto anche alla dinamica di palco, aiutata da video all’insegna della street view alternativa. Nello stesso spazio romba anche uno dei live più attesi, poiché il primo disco di Guillaume Perret & The Electric Epic è prodotto da John Zorn. Il sax del leader graffia e tuona, mentre intorno a lui chitarra, basso e batteria creano un funk scuro, metallico, quasi doom. Una nuova griffe per l’Europa jazz noise degli Ex e degli Zu.

Altra scommessa vinta è quella del connubio tra Fanfara Tirana e Transglobal Underground. Dal vivo i musicisti londinesi con batteria, basso, laptop e sitar mettono il turbo all’orchestra albanese, con passaggi sempre più frequenti in direzione r’n’b e ska. Se su disco è stato usato spesso il fioretto, gli esperti inglesi sanno che in concerto serve la sciabola. Non dissimile il ragionamento della brasiliana Orquestra Contemporanea De Olinda, scuola Pernambuco, che mescola con sapienza e potenza Tropici, Africa e mestiere funk per party europei. Meno convincente, in questo ambito meticcio, il set dei sudafricani Shangaan Electro, il cui robusto dj si presenta con un look stile Afrika Bambaataa, circondato da ballerini in costume tradizionale.

Perfetto per la dimensione Womex è semmai il connubio tra il veterano giamaicano Winston McAnuff e il fisarmonicista e produttore francese Fix, proveniente dai Java. Il gioco consiste nel coniugare reggae classico e bal musette parigino, come sperimentato con successo su disco; quel che non ti aspetti è un McAnuff scatenato sul palco, che rimanda per la voce al «suffering» di Burning Spear e nel look come nelle movenze a James Brown. Altro dialogo effervescente è quello tra ritmi dell’Africa occidentale e chanson d’oltralpe proposto con grazia ed energia dall’ormai rodato combo Debademba, con la voce dell’ivoriano Mohamed Diaby e le chitarre targate Burkina Faso di Abdoulaye Traoré capaci di creare una continuità tra le strade di Bamako e i palazzi di Belleville. Sempre in ambito africano emergono due personaggi di gran temperamento.

Sidi Touré, 54 anni, arriva da Gao, la città del Mali più flagellata dal recente conflitto, con una missione di pace: nel suo set blues desertico lancia dediche a appelli bifronti, rende omaggio ai Tinariwen e ad Ali Farka Touré, canta La Paix per la gente di Bamako e per i fratelli Tuareg, ricorda l’esempio di dialogo del Festival au Désert, kermesse premiata domenica con il Womex Award. Più fisico e funky è Ebo Taylor, uno che suonò ventunenne nelle strade di Accra per festeggiare l’indipendenza del Ghana. 55 anni dopo è qui con la sua band, scatenato, felice, con l’aria da sovrano di quello stile, l’highlife, che ora gli chiedono di portare di nuovo in tutto il mondo. In lui è in Winston McAnuff il Womex ha trovato i padrini in pectore di questa edizione.

Per quanto concerne il folk, un po’ c’entra la nazione ospitante, a partire dallo stand del Galles imbottito di balle di paglia. E magari pure i costi: spostare un combo di dieci elementi con gli strumenti costa molto di più che scendere dai Monti Appalachi in tre con gli strumenti acustici. Soprattutto se la spiritosa canadese April Verch aggiunge al mélange una travolgente versione bovara del tiptap. È la cosa più frizzante del programma diurno, nella cui sezione cinematografica spiccano i documentari dedicati all’inquietante antistar americana John Faley (In Search Of Blind Joe Death di James Cullingham) e al pianista pacifista austriaco Georg Kreisler (Georg Kreisler Does Not Exist di Dominik Wessely).

Tutto bene, insomma? No. La autorità inglesi hanno rifiutato il visto d’ingresso al siriano Ensemble Al – Kindi, libero invece di esibirsi nei paesi del trattato di Schengen. Ne è scaturito un caso, giacché il governo del Galles ha fatto ricorso contro la decisione. Niente da fare, show cancellato. Un episodio grave, non il primo in 19 anni di storia di una manifestazione che prova sempre a dare spazio ad artisti provenienti dalle zone di guerra. Altra nota negativa, non così lacerante ma su cui riflettere: la delegazione italiana cala vistosamente. Non è un sintomo confortante, né la politica culturale del nostro paese lascia intravedere segni di ripresa.

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