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La festa della mamma è finita

L'otto marzo Pubblichiamo l'ultimo articolo di Bia Sarasini nelle pagine del nostro giornale

Pubblicato quasi 6 anni faEdizione del 16 ottobre 2018

Altro che festa delle donne, con mimose e omaggi vari una volta all’anno, per poi dimenticarsene tutti gli altri giorni. L’8 marzo 2018, come già l’anno scorso, è stato di nuovo una giornata di lotta, una data che segna un punto di conflitto, con la persistenza nella scelta già attiva l’anno scorso: lo sciopero globale delle donne. Uno sciopero a cui hanno aderito più di settanta paesi nel mondo. Lanciato in Italia da Non una di meno, quest’anno con molta chiarezza si è posto in continuità con le donne che hanno rotto il silenzio, con quel movimento #metoo che ha reso visibile le molestie e le aggressioni che intimidiscono le donne nei luoghi di lavoro. Siano Hollywood, cucine di ristorante, fabbriche, uffici o alberghi, come testimoniano le migliaia di racconti. Molestie e aggressioni che le donne non subiscono più da vittime, proprio perché si prendono la libertà, e l’autorità, di parlare, di raccontare. Con il passaggio dal #metoo a #wetoo, #wetoogether. Dalla parola dell’io, singola, individuale, alla parola del noi. Noi parliamo insieme. Significativa l’adesione allo sciopero, e la partecipazione alla manifestazione, di Asia Argento. Non era affatto scontato, dopo gli insulti ricevuti in Italia in seguito alla sua denuncia dell’aggressione del produttore Harvey Weinstein. Ma ora «è tempo del #WeToo, di unire le voci per un unico grido che non potrà più essere ignorato» ha detto in un video postato sulla pagina Facebook di Non una di meno.

Ma cosa vuol dire sciopero delle donne? Astensione dal lavoro, da tutti i lavori, quelli retribuiti, ma anche dall’enorme lavoro di cura fornito senza alcun compenso. Come dicevano le manifestanti di ieri, «se io non lavoro tutto si ferma». Forse fin troppo, hanno pensato quelli colpiti dallo sciopero dei trasporti proclamato da Usi, e Usb, e che ha fatto discutere alche molte donne, in difficoltà a raggiungere le convocazioni delle manifestazioni nelle diverse città italiane. Esemplari alcuni commenti, perlopiù maschili ma non solo, tra tv e web: «Ma se è una festa, una celebrazione, cosa c’entra uno sciopero?». Potrebbero rispondere le donne spagnole, che hanno conquistato l’adesione allo sciopero di tutte le sigle sindacali, compresi i principali sindacati confederali. Il punto è sempre lo stesso. Insomma, l’8 marzo non è la festa della mamma in grande, è una giornata per fare il punto dei conflitti aperti, per proiettarsi insieme verso un futuro di cambiamento. Per questo il lavoro, lo sciopero. La lotta contro la precarietà, contro la svalorizzazione del lavoro femminile che in media vien pagato il 23% in meno di quello maschile. E insieme la lotta contro l’insopportabile violenza. Si è arrivati a questo appuntamento, qui in Italia, con alle spalle storie dolorose.

Pamela Mastropietro massacrata a Macerata, il presunto omicida è nigeriano, e sul suo corpo Luca Traini ha compiuto la sua vendetta di chiaro segno razzista e fascista. A Milano è stato uccisa Jessica Faoro, perché aveva rifiutato le avances del tranviere che le affittava una stanza. Da ultimo la strage perpetrata da Luigi Capasso, carabiniere, che prima ha sparato alla moglie, senza ucciderla, e poi ha ucciso le figlie e infine, dopo molte ore si è suicidato. Una strage annunciata. a giudicare dai molteplici segnali che emergono da testimonianze e racconti. Lo sciopero di ieri ha detto basta. Perché non c’è separazione, tra mondo della casa e mondo del lavoro. Del resto, quante donne vittime di violenza e di femminicidio sono in realtà donne che lavorano? Perché nelle narrazioni si privilegia il legame con l’uomo che le perseguita, piuttosto che la volontà di autonomia?

*( è il suo ultimo articolo scritto per il manifesto, datato 8 marzo 2018)

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