«La ferocia», nel ricatto politico e corrotto della famiglia
A teatro La compagnia Vicoquartomazzini mette in scena il romanzo di Nicola Lagioia
A teatro La compagnia Vicoquartomazzini mette in scena il romanzo di Nicola Lagioia
Da un romanzo di Nicola Lagioia di pochi anni fa, La ferocia (vincitore nel 2015 dei premi Strega e Mondello), nasce il nuovo spettacolo della compagnia VicoQuartoMazzini, andato in scena al Vascello nell’ambito di Romaeuropa Festival. I suoi fondatori e leader, Michele Altamura e Gabriele Paolocà, entrambi di forte radicamento pugliese (e insieme registi e interpreti, mentre la drammaturgia è firmata da Linda Dalisi) scoprono, in un modo non proprio usuale a teatro, un dietro le quinte della cosa pubblica in Puglia, che non perdona nessun ottimate della politica regionale, e dell’interno familiare in cui si intrecciano le vicende di diversi personaggi, parenti, uomini di potere, mandanti e killer di una società all’apparenza fondata sulla famiglia, che si rivela in realtà camera di incubazione di nefandezze politiche, di interessi sporchi, e anche di private e ingloriose sorti di quasi tutti i suoi membri. Il romanzo di Lagioia sorprese e turbò quando uscì e si affermò quasi dieci anni fa, per il rigore narrativo che dava corpo al vissuto più intimo di una famigliona locale, con un ampio e variegato patrimonio, nella sfera pubblica come in quella privata, di colpe, responsabilità, ambizioni e «crudeltà»che da un ambito all’altro si rimbalzavano a vicenda. Una sorta di gioco dell’oca senza scampo né possibilità di uscita «onesta», perché tutti o quasi vi rimangono impaniati. Dal capofamiglia disinvolto costruttore quanto grande corruttore, alla moglie debole e assorta, al funzionario pubblico che dovrebbe conrollare l’onestà dei lavori, e così via.
Una sorta di gioco dell’oca senza scampo né possibilità di uscita «onesta», perché tutti o quasi vi rimangono impaniati.
A QUESTA VICENDA che vede la politica e i poteri locali sotto una luce cruda e rivelatrice (con tanto di carriere pubbliche e «salti» di ruolo presto tacitati col danaro) si intreccia il drammatico sviluppo familiare: la madre assorta ma lucida quando serve, ma mai innocente, e i due figli (interpretati appunto dai due autori dello spettacolo), uno sistemato negli alti ranghi medici, l’altro giovane intellettuale che si scoprirà figlio di una relazione extraconiugale anche quella finita tragicamente. Con un testimone/vittima che tra tante peripezie ha perso una gamba, e inutilmente reclama l’ascensore dal padre palazzinaro che deve «risarcirlo» della menomazione (oltre che del suo coinvolgimento nel sangue luttuoso che pesa sulle spalle di tutti).
La ferocia (così equamente distribuita tra tutti i personaggi) finirà per essere facilitata ma anche assolta dal fiume di soldi e corruzione reciproca tra tutti i personaggi in scena. Un ritratto crudele e insieme assai «normale» come il teatro raramente riesce a rappresentare, e raccontarci. Grazie al «romanzo» di Lagioia, e alla volontà di Vicoquartomazzini, nasce uno spettacolo fuori dell’ordinario. Cui oltre agli autori danno corpo una serie di professionisti di livello, tra cui Leonardo Capuano, Roberto Alinghieri, Francesca Mazza.
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