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La Farnesina in Siria fra umanitari e mandanti di guerra

La Farnesina in Siria fra umanitari e mandanti di guerraEmma Bonino

Gruppo di "alto livello" Incontro internazionale a Roma sulla crisi siriana, ospite la ministra Bonino. Secondo la quale l'Italia spinge per «approvare una risoluzione delle Nazioni unite che garantisca l’accesso incondizionato agli aiuti umanitari». Ma sottovaluta le responsabilità dei "ribelli"

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 4 febbraio 2014

«Il dialogo politico, che sarà lungo, va tenuto separato dalla soluzione umanitaria necessaria ad alleviare le sofferenze del popolo siriano…anche se non c’è soluzione umanitaria a quella che è una crisi politica»: così ha dichiarato la ministra degli esteri Emma Bonino al terzo incontro (il secondo è stato in Kuwait) del Gruppo di alto livello sulle sfide umanitarie in Siria, svoltosi ieri alla Farnesina a porte chiuse – salvo l’introduzione della ministra.

Tanti i Paesi assenti

Alla riunione romana del gruppo che, ha detto la Bonino, «non ha status preciso e non vuole sostituirsi a nessuno», erano presenti dieci su undici (assente la Germania) dei cosiddetti «Amici della Siria», molti dei quali sostengono l’opposizione armata e gruppi estremisti con armi, denaro e combattenti contribuendo a perpetuare la tragedia umanitaria. A Roma poi, oltre all’Ue e agli organismi umanitari dell’Onu erano presenti Russia (ambasciatore in Italia), Cina (incaricato d’affari) e Iran (viceministro degli Esteri). In tutto quasi trenta paesi. Mancavano attori importanti del Sud, pur misteriosamente indicati nei cartelli sul tavolo circolare: Sudafrica, Brasile, Venezuela…

In un breve comunicato alla stampa, Valerie Amos, sottosegretaria generale dell’Onu per gli affari umanitari e coordinatrice dell’Ufficio Onu per le emergenze (Ocha), chiedendo più fondi ha riferito che il Gruppo ad alto livello ha approvato «undici interventi immediati» per garantire «l’accesso alle aree assediate e a quelle difficili da raggiungere», che contano fino a sette milioni di persone, con oltre tre milioni in uno stato di urgente bisogno.

Nell’intervento di apertura e nella dichiarazione stampa, la ministra Bonino pur senza evocare il termine «corridoi umanitari» a proposito dei passi da compiere urgentemente per affrontare la «peggiore crisi umanitaria dei nostri tempi in termini di civili coinvolti», ha ripetuto comunque che «cibo, medicinali, tutto è pronto a entrare in Siria, alle frontiere e nei paesi della regione», e «non si può accettare che si pongano condizioni per l’accesso» (al paese o alle aree in stato di assedio nel paese?). In ogni caso, l’Italia ritiene che «sarebbe utile e importante approvare una risoluzione delle Nazioni unite per garantire l’accesso incondizionato agli aiuti umanitari».

Chi impedisce l’accesso? Secondo Bonino esso è «ristretto dalle autorità siriane e in certi casi dagli oppositori». Una sottovalutazione, la sua, delle responsabilità di questi ultimi. Nello stesso documento operativo distribuito ieri alla stampa si legge dei 45mila abitanti dei villaggi Nubl e Zahra (vicino ad Aleppo) assediati da anni da «forze dell’opposizione» (come la città di Adra teatro di un grande massacro nel mese di dicembre); e quanto alla parte vecchia di Homs, circondata dai governativi, è importante che i civili – il loro numero è molto vario a seconda delle fonti – possano lasciare l’area; ma secondo l’andamento dei negoziati da tempo in corso, sembra che gli armati non siano disposti a rimanere soli, senza i civili come protezione. Del resto le dinamiche, le vittime e gli attori degli assedi sono resi in modo opposto a seconda delle fonti. Basti pensare al campo dei rifugiati palestinesi di Yarmuk, occupato da gruppi islamisti (ai quali si oppone una frazione dei palestinesi), circondato dall’esercito. Era da dentro o da fuori che si impediva il passaggio degli aiuti e l’uscita dei non armati?

Resta l’invio di armi

Amos ha evocato fra i punti imprescindibili la protezione dei civili e delle strutture civili. Ma la confusione civile-militare in Siria è ormai totale, insieme alla distruzione delle infrastrutture e dell’economia del paese. Incresciosa la militarizzazione degli ospedali, ad esempio il complesso Qadi Askar ad Aleppo interamente occupato da brigate e comitati per la sharia.

La presenza dell’Iran e della Russia all’incontro? Importanti. «Ci sono paesi che hanno più influenza e quindi più responsabilità di altri, facciamo appello a chi ha più responsabilità»…Anche ad Arabia saudita, Qatar, Usa e Turchia? «Sì, a tutti» risponde laconicamente il ministro. Ma come convincere gruppi armati che assediano aree o detengono civili come scudi umani (magari volontari) e che sembrano sfuggire a ogni ordine? Rispondendo con un «Chi più può, faccia», la ministra implicitamente riconosce che c’è chi gli ordini a quei gruppi li può dare. Ma si tratta di quegli «Amici» della Siria che appunto li armano. Così il circolo vizioso fra guerra e soccorso alle vittime si avvita all’infinito.

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