La fantascienza è un sussulto del cuore
Al cinema «Tito e gli alieni», il nuovo film di Paola Randi con Valerio Mastandrea.Un Professore, i suoi nipoti, la ricerca di chi si è amato e non c’è più. Tra voci nello spazio e il gioco della vita
Al cinema «Tito e gli alieni», il nuovo film di Paola Randi con Valerio Mastandrea.Un Professore, i suoi nipoti, la ricerca di chi si è amato e non c’è più. Tra voci nello spazio e il gioco della vita
Chi è Tito e chi sono gli alieni? Dicono che se ne ascoltino le voci in quel pezzo di deserto, una terra lunare che potrebbe somigliare a quella in cui vagabondava il furioso Orlando,e che invece è dove abita il Professore (Valerio Mastandrea), scienziato napoletano strampalato che il governo americano ha incaricato di ascoltare lo spazio. Lui però sente solo all’infinito la voce dell’amata moglie, morta tempo prima, e per questo si aggira in una solitudine interrotta soltanto dai passaggi di Stella, wedding planner per turisti con passione per gli alieni (Clemence Poésy).
Poi succede che il fratello lo chiama da Napoli; o meglio gli manda un messaggio dicendogli che sta morendo e che da lui arriveranno i suoi figli, l’adolescente Anita di sedici anni (Chiara Stella Riccio), e il piccolo Tito di sette (Luca Esposito). Sarà dunque il ragazzino un nuovo Guardiano della Galassia? Racconta Paola Randi che questo suo secondo film, dopo l’esordio di Into Paradiso, nasce da un’immagine: suo padre che nell’ultimo periodo della vita iniziava a perdere la memoria e per conservare il ricordo della moglie, la madre della regista, ne fissava a lungo la fotografia: «Allora mi è apparsa l’immagine di un uomo, nel deserto, su un divano, con un’antenna in mano, che cerca di recuperare la voce di sua moglie nei suoni dello spazio».
Tito e gli alieni è un film di fantascienza se per fantascienza intendiamo il desiderio di ritrovare chi abbiamo amato e non c’è più, il dolore e la sua elaborazione, la tenerezza e la malinconia intorno a quel vuoto,l’ostinazione che da qualche parte dell’universo si può ancora una volta parlare al padre, come sogna di fare Tito, che è soltanto un ragazzino e non vuole accettare che l’uomo sia scomparso per sempre.
Il « genere» è una passione della regista e attraversa in modo eccentrico i suoi film nei quali ama capovolgere le regole con ironia e giocosità – come accadeva tra i migranti dello Sri Lanka e la comunità napoletana di Into Paradiso – e come accade qui. Tito e gli alieni parla della morte ma anche della vita, dell’immobilità e di una nuova partenza, delle lacrime e della scoperta dell’amore.
Nel suo viaggio poetico, che arriva fino al Nevada, Randi si avventura nell’inmaginario, ne coglie suggestioni e riferimenti per rielaborarli seguendo il movimento della propria fantasia. Come una maga unisce commedia, echi spaziali, sentimenti personalissimi, candore e spudoratezza, detour eccentrici e improvvisi con una libertà sempre più rara al cinema.
È questo il suo spazio (laico), lo spazio dell’incontro e dello stupore nel quale si incontrano due ragazzini pieni di parole e un uomo adulto che ha scelto il silenzio e ricicla gli oggetti destinandoli a un nuovo uso per mantenere (o almeno provarci) una memoria. Con coraggio quasi da «aliena» Randi scommette sul potere dell’immaginazione, che scompiglia e reinventa, quando si riesce a coglierlo, l’orizzonte della vita.
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