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La famiglia: «Se n’è andato il nostro pilastro»

La famiglia: «Se n’è andato  il nostro pilastro»Il presidente del Sudafrica Jacob Zuma – Reuters

In lutto Il messaggio letto dal portavoce, il generale Matanzima

Pubblicato quasi 11 anni faEdizione del 8 dicembre 2013
Rita PlanteraCAPE TOWN

«Il pilastro della nostra famiglia non c’è più. Ma nei nostri cuori e nelle nostre anime sarà sempre con noi». Con queste parole il portavoce della famiglia Mandela, il lieutenant general Themba Matanzima, ha sospeso un silenzio che dura ufficialmente da quel giovedì 5 dicembre in cui tutto il mondo è rimasto orfano di una guida d’eccezione.

«Non è stato facile negli ultimi due giorni e non sarà piacevole nei i giorni a venire», ha continuato il generale Matanzima. «Abbiamo perso un grande uomo, un figlio della terra, la cui grandezza nella nostra famiglia era nella semplicità della sua natura. La sua presenza era come un baobab la cui ombra confortante ci dava protezione e sicurezza».

Ricordando l’umiltà di Mandela come statista capace di trovare il tempo per ricchi e poveri, grandi e piccoli e padre di famiglia attento, ha ringraziato tutti per i messaggi di sostegno che continuano ad arrivare da ogni parte del mondo.

A esprimere gratitudine nella giornata di venerdì era invece stato il nipote di Mandela, Mandla Mandela capo-villaggio di Mvezo, paesino che ha dato i natali a Madiba nel 1918: «I messaggi che abbiamo ricevuto da giovedì sera ci hanno rincuorato e ci hanno travolto».

Il mondo si è inchinato a un vecchio uomo che con le sue scelte, costategli schiavitù e malattia, ha impedito una guerra civile nello stato che oggi costituisce la più grande economia dell’Africa. Un Paese che oggi, nonostante tutto, è faro di speranza per milioni di persone che vivono o fuggono dalle zone vicine, anche se attualmente è guidato da una classe politica non altezza di raccogliere l’eredità di uno statista dello spessore di Nelson Mandela.

A Mandela guardano ancora una volta molti africani nella speranza che i loro leader oggi siano da lui ispirati per guarire un’altra spaccatura che si sta pericolosamente estendendo in tutto il continente, quella tra ricchezza e povertà.

Tanto un pilastro di correttezza e di virtù è stato Nelson Mandela, che dal banco degli imputati durante il processo di Rivonia del 1964 si alzò in piedi per urlare che era pronto a morire se questo sarebbe valso una società democratica e libera nel suo Sudafrica, quanto Zuma è il simbolo dell’incapacità dell’African National Congress (Anc) di continuare il cammino verso la libertà – dalla povertà, dalla fame, dal pregiudizio – avviato da Mandela e tristemente arenatosi con il suo partito al potere.

Lo stesso presidente Jacob Zuma, a pochi mesi dalle elezioni presidenziali, è rimasto travolto da quello che può essere considerato il più grande scandalo politico nel Sudafrica del post apartheid. Il cosiddetto Nkandlagate, dal nome del paese nel KwaZulu Natal dove Zuma avrebbe costruito il suo bunker privato utilizzando milioni di dollari di denaro pubblico.

Con lui, l’intero Anc rischia di precipitare ancora più giù nel baratro che in vent’anni di cattiva gestione della cosa pubblica si è scavato da sé.

Con una disoccupazione a circa il 25% e un’inflazione più alta del 5%, negli anni il partito di Madiba, al governo dal 1994, sta piano piano perdendo il sostegno delle sue classi sociali più fedeli.

Nonostante ciò, sebbene siano al momento scarse le possibilità per l’ex movimento di liberazione di perdere la sua maggioranza assoluta nella più grande economia dell’Africa già alle prossime elezioni presidenziali del 2014, c’è però da considerare che il malcontento è in crescita e un certo andamento calante nel sostegno elettorale era già stato registrato nel 2009, quando l’Anc per la prima volta ha vinto con meno di due terzi dei voti.

E non sono pochi a pensare che con i cosiddetti elettori born free, la generazione di chi è nato nel periodo del post apartheid, che nel 2014 per la prima volta andrà a votare, potrebbe esserci un’inversione di tendenza significativa. Svincolati da ogni legame emotivo con la lotta di liberazione come invece ancora è per i loro genitori, i «nati liberi» potrebbero contribuire a far calare la percentuale ancor più bruscamente.

Tuttavia, la morte di Nelson Mandela e tutto il periodo di lutto che seguirà, contribuirà molto probabilmente a «salvare» Zuma e tutta l’Anc da catastrofi elettorali e politiche che fino all’altro giorno sembravano essere dietro l’angolo.

Sono state un paio di settimane molto difficili per il presidente Jacob Zuma, la scorsa settimana in particolare, con il caso Nkandlagate che ha occupato le prime pagine di tutta la stampa nazionale, ma ora, come sostiene Guglielmo Gumede, analista politico docente alla Wits University di Johannesburg: «Mandela potrebbe offrigli una sorta di tregua».

Nelson Mandela, il colosso e la leggenda, così come è stato definito dai suoi ex compagni di partito nel comunicato ufficiale, fuor di retorica, se ne va lasciando il suo Sudafrica senza un’identità.

 

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