La famiglia Merloni vende Indesit agli americani
Marche Se ne va un altro pezzo del made in Italy. Whirlpool acquisisce il concorrente negli elettrodomestici per 758 milioni di dollari. Sindacati preoccupati per la sovrapposizione tra i prodotti italiani
Marche Se ne va un altro pezzo del made in Italy. Whirlpool acquisisce il concorrente negli elettrodomestici per 758 milioni di dollari. Sindacati preoccupati per la sovrapposizione tra i prodotti italiani
La borsa festeggia, la famiglia Merloni incassa 758 milioni di dollari, i lavoratori Indesit di Fabriano incrociano le dita. E sperano che i nuovi padroni (e storici concorrenti) di Whirlpool non abbassino il costo del lavoro tagliando l’occupazione. Soprattutto dopo che a dicembre era stato faticosamente raggiunto, con la vecchia proprietà, un accordo che assicurava fino al 2018 lo stop ai licenziamenti, oltre a un piano industriale di mantenimento della produzione. E comunque un altro pezzo del made in Italy prende la strada dell’estero e vola oltreoceano, così come hanno fatto negli ultimi anni altri marchi storici della penisola, dalla Perugina a Poltrona Frau.
La multinazionale Usa, già presente in forze nel mercato europeo degli elettrodomestici, cerca di tranquillizzare: «Ci attendiamo che questa operazione – anticipa Marc Bitzer – possa creare maggior valore attraverso un miglior utilizzo delle risorse e una complementarietà di posizione geografica, prodotti, marchi e sistema distributivo». Per certo però, come osserva subito il segretario marchigiano della Fiom, Giuseppe Ciarrocchi, quando una grande azienda ne incorpora una più piccola non c’è da aspettarsi molto di buono: «Sono due aziende speculari, e producono entrambe nel nostro paese prodotti per un mercato già in crisi. Il rischio di sovrapposizione è forte: Whirlpool si ritrova ora con 8mila dipendenti e 3mila ’colletti bianchi’ che fanno prodotti omologhi».
I segnali di disimpegno della famiglia Merloni erano stati intuiti dalla Fiom già lo scorso anno, quando l’amministratore delegato Marco Milani era subentrato ad Andrea Merloni alla presidenza di Indesit Company. «Avevamo ragione a sostenere che la famiglia Merloni stava vendendo Indesit – ricorda Ciarrocchi – e non cercando una partnership. Poi non lascia certo tranquilli quanto ha detto oggi il presidente e chief executive di Whirlpool, Jeff Fettig: gli americani puntano a creare valore per gli azionisti. Ora vorremmo capire come questo obiettivo si tradurrà in termini industriali, sul versante dell’occupazione, e della valorizzazione del patrimonio creato da Indesit nel territorio. Perché la cultura del capitalismo Usa non è la nostra».
Dal territorio arrivano commenti preoccupati. In primis di operai come Mario: «In dieci anni la famiglia Merloni è quasi scomparsa da Fabriano. Era inimmaginabile ma è successo. Ora speriamo che accada anche a noi della Indesit quello che è successo con la cessione delle Cartiere Miliani a Fedrigoni, che hanno avuto da quell’operazione un rilancio, anche se con qualche ridimensionamento». A ruota gli impiegati come Sergio: «Con questa operazione il gruppo si rafforza. Sull’altro piatto della bilancia però c’è la struttura di Whirpool speculare alla nostra. Siamo preoccupati».
Sul fronte istituzionale il sindaco democrat Giancarlo Sagramola lancia il suo sos al governo: «Chiederò che sia rispettato l’accordo siglato al ministero, e auspico che Fabriano possa avere un ruolo importante, anche con la salvaguardia dei livelli occupazionali». A stretto giro di posta la risposta del Mise: «Abbiamo siglato un accordo mettendo ’in sicurezza’ i lavoratori fino al 2018. Crediamo sia un punto fermo, anche dopo l’annuncio di oggi».
Ma Whirlpool sarà dello stesso avviso? Di certo al momento c’è solo il balzo in avanti delle azioni Indesit: il titolo ha guadagnato il 2,85% a 10,83 euro per azione, avvicinandosi agli 11 euro che Whirpool pagherà prima ai Merloni, detentori del 60,4% del capitale, e poi al mercato, nell’opa obbligatoria che sarà lanciata una volta rilevate le azioni di una famiglia che negli anni ’90 aveva delocalizzato in Russia e in Cina, conservando solo il 30% della produzione in Italia, ma che anche nel 2012 nonostante la crisi aveva tenuto sia sui ricavi che sugli utili.
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