La «fabbrica della puzza» diventata l’incubo chimico di Siderno
Calabria Questa è una storia lunga quarant’anni. Questa è la storia della «fabbrica della puzza». C’era una volta la BP S.r.l.-Intermedi Organici Farmaceutici di Siderno. Sorgeva sin dagli anni Settanta a […]
Calabria Questa è una storia lunga quarant’anni. Questa è la storia della «fabbrica della puzza». C’era una volta la BP S.r.l.-Intermedi Organici Farmaceutici di Siderno. Sorgeva sin dagli anni Settanta a […]
Questa è una storia lunga quarant’anni. Questa è la storia della «fabbrica della puzza». C’era una volta la BP S.r.l.-Intermedi Organici Farmaceutici di Siderno. Sorgeva sin dagli anni Settanta a ridosso dello Jonio reggino, nella punta sudorientale della Calabria. Il territorio di Siderno è una costellazione di villaggi. La marina di Sidèroni (antico nome del luogo) era costituita da diversi raggruppamenti. Primo fra tutti il nucleo attorno alla Torre e alla cappella di Porto Salvo, abitato da pescatori e marittimi. C’era poi il cosiddetto «circhetto» composto da agricoltori e massari. Pantanizzi è la contrada che dal 1979 convive con l’ incubo chimico BP.
La BP aveva come attività produttiva la preparazione del principio attivo Cimetidina, sostanza antiulcera. Prima collocata a Treviglio, nella Bergamasca, la fabbrica venne spostata nel profondo sud. Un regalo imposto grazie alla connivenza di chi controlla il territorio, intenzionato a svenderlo alle industrie del nord. L’opposizione sociale fu subito dura con l’occupazione del comune e manifestazioni imponenti. Negli anni Ottanta era attivo il Comitato ecologico di Pantanizzi. La fabbrica si insediò in un capannone abusivo e qui iniziò la produzione. Non appena aperta, fu chiusa dal sindaco di allora ma, nonostante sorgesse a 150 metri dalle case, fu riaperta. L’aria era irrespirabile. A causare la puzza, il metilmercaptano, prodotto di per sè tossico. A nulla valsero le sollecitazioni del ministero della Sanità secondo cui l’attività della BP rientrava tra quelle delle industrie insalubri. Nel 1994 lo scoppio di un reattore provocò la sospensione dell’attività produttiva. Dopo alterne vicende e numerosi interventi del Noe, di carabinieri, Arpacal, ministero dell’ambiente, finalmente, nel 2003, avviene una prima bonifica con cui vennero smaltite 549 tonnellate di rifiuti tossici e pericolosi. Ma a rimettere oggi in moto la mobilitazione sono altre 900 tonnellate di rifiuti tossici, rimaste in loco, incustodite e ormai in condizioni di deperimento.
Oggi il testimone delle lotta è passato al Comitato a difesa della salute dei cittadini sidernesi. E’ Franco Martino a raccontarci questa storia di archeologia industriale e inquinamento ambientale. “Siderno ha già pagato per uno sviluppo non adatto al suo territorio mentre la regione ha nascosto documenti che attestavano rischi ambientali incalcolabili”. Il riferimento è alle 900 tonnellate di rifiuti che oltre ad essere infiammabili, irritanti e nocivi sono anche cancerogeni, teratogeni (nuocciono al feto causando malformazioni congenite), mutageni (provocano mutazioni genetiche) ed ecotossici (causano rischi immediati o differiti per l’ambiente). La loro scoperta risale al 2003 ma solo oggi è diventata di pubblico dominio. «Abbiamo così scoperto- continua Martino- che il previsto piano di smaltimento totale era stato abbandonato come sono rimasti abbandonati i fusti corrosi a rischio di inquinamento di tutta la zona circostante». Gli scoppi di fusti sono frequenti. Nel 2005 un grave incidente causò l’intossicazione di sette persone, cinque pompieri e due poliziotti, e lo sversamento di circa 8.000 litri di una miscela di alcool butilico e isopropilico. Entrambi gli alcool, oltre ad essere irritanti, possono provocare danni al sistema nervoso. Fu previsto un intervento di messa in sicurezza d’emergenza, effettuato dal comune, con il supporto di Arpacal, che comportò l’escavo della parte di suolo interessato dallo sversamento, circa 300 mc, e l’abbancamento provvisorio della terra asportata in containers posizionati nell’area. Con quest’intervento si eliminò il rischio d’inquinamento per il sottosuolo e la falda. Ma non furono portate a termine le procedure previste dalla normativa.
«Queste sostanze – dichiara Martino riportando la valutazione di un esperto – sono alla stregua di alcune armi chimiche». Il timore di altre esplosioni è elevato. Gli agenti atmosferici stanno deteriorando sempre di più i fusti. Il rischio di un inquinamento delle falde resta alto. L’ultimo scoppio di fusti risale a pochi anni fa. «In questi giorni, su iniziativa nostra e con un’interrogazione urgente al Ministro della Sanità di Fratoianni (Si), qualcosa si sta muovendo. L’Asp di Reggio ha effettuato un’ispezione e parla di ‘bomba ecologica”. Lorenzin ancora non ha risposto e anche il presidente della regione, Oliverio, tace sulla bonifica. I tassi di leucemia a queste latitudini sono altissimi sebbene manchi un registro tumori in tutta la provincia. C’è infine la questione Sika. E’ lo stabilimento, anch’esso produttore di additivi chimici, che si è insediato nella zona ex Bp. Arpacal ha rilevato la presenza di sostanza cancerogene nei terreni. Si sospetta che in tutti questi lustri l’area sia diventata ricettacolo di rifiuti di ogni tipo. Il sindaco di Siderno Pietro Fuda (Pd) ha emesso un’ordinanza di divieto di irrigazione e ha rassicurato: «Nessun problema per l’acqua potabile». Ma la puzza, intanto, continua. E la paura di epidemia è tanta. L’incubo chimico non ha fine.
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