Cultura

La fabbrica dei cruciverba

La fabbrica dei cruciverba«Crossword puzzle with lady in black coat» di Paulina Olowska (Stedelijk Museum Amsterdam)

Inchiesta oltre gli schemi Le riviste di enigmistica sembravano dover soccombere al digitale. E invece il settore è in buona salute, grazie anche ai pensionati che non smettono di giocare. La generale flessione è dovuta alla crisi dei quotidiani, «ma per noi la carta resiste»

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 24 aprile 2018

Il taxi lascia la stazione di Santa Maria Novella e si arrampica sulla collina di Montughi, fino al muro di quella che sembra più una residenza signorile che un luogo di lavoro. La tassista scende e controlla la targhetta sul citofono per essere sicura di lasciarmi nel posto giusto. Sì, Corrado Tedeschi Editore. Al di là del portoncino bianco, percorrendo il vialetto che porta alla redazione, lo spettacolo è sorprendente: a destra, un parco di pini, abeti e cedri del Libano, e un campo da tennis. A sinistra, basse costruzioni modulari: uffici e tipografia. È la sede della storica casa editrice fondata da Corrado Tedeschi, giornalista e vulcanico imprenditore. Le sue riviste, tra cui Nuova Enigmistica Tascabile, del 1945, Il CruciverbaFacili Cruciverba, ancora oggi dei classici, hanno contribuito all’alfabetizzazione degli italiani.

DEI GIORNALI DI GIOCHI non si parla praticamente mai. Eppure basta andare in edicola per trovare una grande quantità di settimanali, mensili, trimestrali, albi singoli, che propongono parole incrociate, sudoku, quiz, anagrammi… Come nascono queste testate superspecializzate? «Il nostro è un lavoro artigianale», spiega Stefano Maleci, colto responsabile di redazione della Tedeschi. «I cruciverba sono creati da noi interni e da collaboratori. Si procede con carta e matita per inventare gli schemi; oggi ci sono software che rendono più veloce il processo, ma senza creatività e competenza la tecnologia serve a poco». L’autore dello schema è la stessa persona che scrive le definizioni? «Spesso e volentieri no, molti autori realizzano solo la griglia di parole», risponde Maleci, che precisa: «Creare i giochi è solo il punto di partenza perché, una volta che vengono “messi in pagina”, si mette in moto una macchina complessa di correzioni e controlli incrociati, fino al “visto si stampi”». Tutto deve concorrere a evitare l’errore, tanto temuto perché rende il gioco irrisolvibile, con grande frustrazione dei lettori.

Lettori di un settore che sembrava destinato a essere affossato da computer, tablet e smartphone, e invece: «Non si può dire che le nuove tecnologie abbiano messo in crisi il mercato», spiega Antonella Gusso, direttore editoriale della Tedeschi e responsabile del web. «Le nostre testate funzionano soprattutto su carta. Qualche tempo fa abbiamo pensato di creare una piattaforma con app per giocare, ma alla fine non si è dimostrata una strada remunerativa». La generale flessione di vendite che c’è stata in passato si spiega piuttosto con la crisi dei quotidiani: «Una volta si andava a comprare il giornale e magari si portava a casa anche una rivista di enigmistica. Oggi l’acquisto di impulso si fa al supermercato, canale di vendita molto forte», conclude Gusso.

QUANDO TEDESCHI fondò la sua casa editrice, già spopolava La Settimana Enigmistica, uscita nel 1932 e ancora oggi leader del settore, benché assediata dai proverbiali «innumerevoli tentativi di imitazione». Il giornale «fondato e diretto per 41 anni dal Cavaliere del Lavoro Gr. Uff. Dott. Ing. Giorgio Sisini Conte di Sant’Andrea», chissà perché è da sempre avvolto da un’aura di segretezza. A una richiesta di contatto, dalla redazione è arrivata una garbata risposta standard: «Siamo davvero spiacenti di doverle comunicare che non ci è possibile accontentarla. Abbiamo da sempre una linea editoriale molto rigida, improntata a un’estrema riservatezza e discrezione, per cui non rilasciamo interviste e non forniamo materiale di sorta». Amen.

Un mondo un po’ misterioso e chiuso, quello dell’enigmistica lo è. Non a caso Coda d’Orso, autore di punta de Il Cruciverba, accetta di farsi intervistare solo a patto di restare anonimo. L’aria da eterno ragazzo («sono affetto dalla sindrome di Peter Pan»), minuto, i capelli candidi che spiccano sulla giacca e il panciotto verdi, è un affabulatore. Coda d’Orso crea schemi di cruciverba originali e apprezzati, con chiavi da risolvere, “giochi nei giochi”. «Sono rigorosamente fatti a mano, su blocchi a quadrettoni, con gomma e lapis», ci tiene a precisare. «A 12 anni ho cominciato a inventare cruciverba che facevo risolvere ai miei compagni di scuola. Ma avevano troppe caselle nere. Un giorno, però, sono riuscito a sistemare 4 o 5 parole lunghe al centro dello schema e ho capito che la bellezza del gioco dipende dalla ricchezza dei termini che si incrociano. Io “mi chiudo in trincea” con libri e vocabolari, e inizio l’avventura. Proprio un’avventura, perché in un certo senso le parole vanno domate. L’ora più propizia per me? Tra le 23 e le 3 del mattino, nel silenzio».

DI COMPUTER, lui, non vuole sentire parlare. A differenza di Ranocchietta perfida, pseudonimo di Ilaria Pulcini, 42 anni, laurea in Storia dell’Arte, autrice di giochi e redattrice di una rivista di settore, abituata a usare le nuove tecnologie. Enigmisti si nasce o si diventa? «Forse si nasce», risponde spalancando i grandi occhi verdi. «Io amavo le parole già nella primissima infanzia, quando guardavo Paroliamo in tv, o giocavo a Scarabeo con la mia nonna paterna che si arrabbiava – bonariamente – perché vincevo sempre io. Nell’adolescenza sono passata ai rebus, i miei giochi preferiti, e sono diventata un’accanita solutrice». Ora con le parole Ilaria Pulcini ci lavora:. «È una professione che richiede una certa cultura e deve piacere molto perché è un po’ ansiogena – non puoi sbagliare. Ma per me va bene, sono una persona precisa e grazie al mio lavoro consulto spesso il mio libro preferito: il vocabolario!».

È PROPRIO IL VOCABOLARIO a tracciare la linea che divide i solutori di ieri da quelli di oggi, pronti a contare su Wikipedia. «Le mie “armi” sono il dizionario e la mia vecchia enciclopedia», racconta Lina, milanese, 81 anni ben portati, dalla mente agile. «Risolvo cruciverba da sempre, ma solo quelli difficili. E adoro gli indovinelli, che a volte mi fanno scervellare». Lei rientra nelle statistiche. La conclusione di una ricerca inglese della facoltà di medicina dell’Università di Exeter e del Kings College di Londra, pubblicata l’anno scorso, su 17mila ultracinquantenni che abitualmente risolvono cruciverba ed enigmi, è che queste attività migliorano attenzione, memoria e ragionamento.

E I GIOVANI? «I giovani hanno molte sollecitazioni e non possono essere il target di riferimento», spiega Bepi Marzulli, direttore di Axioma, service editoriale di Roma che ha iniziato a lavorare nel settore 20 anni fa, realizzando Giochi, allegato a Tv Sorrisi e Canzoni (Mondadori). Da allora ha collaborato e collabora con importanti editori come Rizzoli e Cairo. «I ragazzi, poi, molto spesso non sono “equipaggiati culturalmente”: le scuole di una volta erano nozionistiche e richiedevano un costante esercizio. Si può invece dire che gli adulti hanno riscoperto il piacere dell’enigmistica, come hanno ben colto i pochi editori specializzati». Perché i siti di giochi online non hanno preso piede? «Vuoi mettere il piacere di risolvere i cruciverba in autobus o in treno, con matita e gomma per correggere? Senza contare che il vero target rimangono le persone di una certa età, che spesso non hanno confidenza con la tecnologia», conclude Marzulli.

Conferma Andrea, da 15 anni edicolante a Roma: «Chi ha più potere d’acquisto in questo periodo? I pensionati. Non è un caso che i settori che funzionano meglio per noi sono quelli dell’enigmistica e del gossip, tradizionalmente rivolti a un pubblico grande di età. E poi cresce il settore bambini, perché i genitori sono sempre inclini a soddisfare le richieste dei figli», aggiunge Andrea, indicando con la mano una vasta area del suo chiosco dove spiccano tanti “giornali da giocare”. Piccoli enigmisti crescono, dunque. E rappresentano la promessa di un ricambio generazionale capace di dare ossigeno al settore anche in futuro.

*Questo è uno dei reportage realizzati dagli allievi del corso sul ‘reportage sociale’ tenuto da G. Battiston e M. Loche alla Scuola del sociale di Roma

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