Bisogna andare a scovarlo, Toni Bruna. Magari nel piccolo paesino della Slovenia, a pochi chilometri da Trieste, dove abita e si mantiene facendo il falegname, coltivando l’orto e sognando il momento in cui potrà stracciare tutti i contratti con le compagnie energetiche e vivere in completa autosufficienza. Oppure possiamo incontrarlo a casa di qualcuno dei suoi fan affezionati, i cui salotti e soggiorni da qualche tempo sono diventati il suo palco preferito: tanti amici, e il contatto umano, fisico, che manca sempre di più in quel mondo troppo social del mercato musicale di oggi. Chi ha la fortuna di ascoltare la musica di Toni Bruna, quasi sempre se ne innamora. È capitato al Teatro degli Orrori, oppure a Edda, che quando hanno scoperto il suo primo disco Formigole, uscito nel 2011, lo hanno voluto come spalla nei propri tour. È successo ai fratelli D’Innocenzo, che lo hanno scelto per scrivere la colonna sonora del loro primo lungometraggio La terra dell’abbastanza.
Toni Bruna è uno dei segreti meglio custoditi della musica italiana. Cantautore, che nel dialetto triestino in cui si mescolano veneto, istriano, sloveno, ha trovato quella lingua in grado di raccontare nel modo più onesto le storie di vita, di morte, di stagioni che passano, in quest’angolo di alto Adriatico così come nelle vicissitudini di tutti noi. Un’intuizione avuta durante un lungo viaggio in Cile, «una folgorazione, sicuramente influenzata dalla lontananza dal mio luogo di origine, che adesso mi sembra la scelta più naturale del mondo», ragiona. «Trieste è un porto, un confine, un luogo di passaggio. È questa la sua vera identità, mutevole, multiculturale, e il dialetto lo rappresenta bene, con tutte le sue parole prese in prestito da altre lingue. Qui il dialetto è molto presente, potente, però non si usa per scrivere di sentimenti, per comporre canzoni o fare poesia. La mia è una lingua anche un po’ inventata alle volte, qui c’è un continuo reinventare le parole che io ho sempre trovato geniale».

Quando uno scrive, scrive sempre del posto da cui proviene. È l’unica realtà che uno conosce veramente: c’è una sorta di imprinting, come succede con gli animali

IL SUO SECONDO disco Fogo nero, pubblicato lo scorso inverno a più di dieci anni di distanza dall’esordio, con un cd stampato in pochissime copie e senza nessuna etichetta, viene dall’urgenza di mettere insieme scrittura e musica, anche se a decidere non è mai l’autore. «Forse tra un disco e l’altro non c’era niente da dire» medita Toni Bruna. «Queste canzoni vengono da una chiamata spirituale e io sono solo un tramite. C’è una volontà che guida la vita di queste canzoni che va aldilà di me: l’unica cosa che posso fare è assecondarla».
Le atmosfere del Carso, la bellezza dura della sua natura e dei suoi boschi, sono le stesse che appaiono nell’omonimo cortometraggio Fogo nero, diretto da Massimo Mucchiut, di cui Toni Bruna ha scritto il soggetto e la colonna sonora. «Quando uno scrive, scrive sempre del posto da cui proviene. È l’unica realtà che uno conosce veramente: c’è una sorta di imprinting, come succede con gli animali, un insieme di tracce che il luogo in cui nasci ti lascia addosso. Io mi sento di appartenere a questo luogo, come un sasso, come un albero, come una pianta».

È DA QUESTO paesaggio che emergono le canzoni di Toni Bruna, filtrate dall’amore per la letteratura, dalle poesie di Ungaretti e dagli scritti di Julio Cortazar e di Garcia Marquez, così come da cantautori sudamericani, come Atahualpa Yupanqui, Violeta Parra e Victor Jara, «delle vette inarrivabili per me, davvero pochi altri riescono ad andare così in profondità».
«C’è un elemento come di risonanza» spiega Toni Bruna, «ci sono delle storie, delle situazioni, delle persone, con cui sento una vicinanza, e tutto ciò finisce dentro alle canzoni. È come se quelle situazioni e quelle persone attraverso dei canali di energie sottili stessero chiedendo di essere raccontate», riflette. O di essere salvate, forse, perché affiorano da territori in abbandono, da culture che stanno scomparendo, da periferie in cui ogni identità non può che dissolversi, senza memoria». Per fortuna, a cantarle è rimasto Toni Bruna.