Le nuove etichette attribuite ai Ministeri del nuovo Governo spiegano quasi di più dei Ministri stessi: sovranità, sicurezza, natalità. Si tratta di risposte del populismo di destra alla domanda di «controllo e protezione» delle persone, come scrive P. Gerbaudo nel suo libro Controllare e proteggere (2022). La domande di controllo affonda le radici in un mondo sempre più percepito come privo di margini di influenza, dove si è rotta la cinghia di trasmissione tra il popolo e i suoi rappresentanti e in cui i poteri economici appaiono lontani e non controllabili.

I rapporti tra società e sfera pubblica e tra sfera pubblica ed economia si sono ad tempo ribaltati. Come ci ha ricordato più volte Luigi Ferrajoli, oggi il ceto politico è insediato nelle maglie dello Stato, nelle sue istituzioni e nei suoi poteri.
Nel contempo, controlla partiti a scarsa democrazia interna, sradicati dal corpo sociale e intrecciati a doppio filo a interessi e poteri economici lontani dalla quotidianità delle persone. La ricerca di maggiore protezione, poi, è conseguenza del contesto dell’attuale «policrisi» – ambientale, economica e democratica – che aumenta e moltiplica le buone ragioni per sentirsi insicuri e richiedere salvaguardie. Il senso di fallimento biografico, lo spiazzamento lavorativo e lo spaesamento socio-culturale sono una minaccia costante per milioni di persone, che si combinano con la vulnerabilità economica e le diseguaglianze. La destra risponde a queste domande appunto evocando il simbolismo identitario e nativista.

Dall’opposizione nelle sue diverse anime, al contrario, vi è tanto il mancato riconoscimento del ruolo avuto nel creare queste domande, quanto l’inconsistenza delle risposte fornite. Si tratta, da una parte, di ribadire con forza che la «cattura» morale e cognitiva del centro-sinistra è stata complice dell’emergere di queste richieste.

L’assenza di scelte di politica economica volte ad aumentare i diritti sociali di individui e classi subalterne ha, infatti, consegnato classi e gruppi subalterni all’insicurezza. L’aver trascurato i «luoghi che non contano» – dalle periferie alle aree interne, dalle città medie in crisi alle campagne spopolate – ha creato le condizioni per la crescita del risentimento, della paura e della rabbia. La disintermediazione e lo smantellamento dei partiti organizzati, inoltre, ha scavato un solco tra rappresentati e rappresentanti.

Dall’altra, però, va sottolineato che alle domande di controllo e protezione non si può rispondere attivando i nobili codici latenti della sinistra storica, cioè «l’internazionalismo» e la «fratellanza». Anche questa narrazione lascia un vuoto tanto quanto la prima risposta. Alle richieste di sostegno in un mondo insicuro e fuori controllo non si può rispondere né con «più mercato» né con «l’internazionalismo solidale». La prima risposta crea il vuoto, la seconda lo preserva. Vuoto che la destra riempie evocando e aggiornando i suoi schemi latenti: nazione, identità, comunità. Ciò, del resto, avviene in un contesto specifico, segnato dalla scarsità di risorse, con l’inflazione a doppia cifra e l’economia affondata da pandemia e guerra.

Per questo, non è sufficiente – come fatto da molti commentatori – sottolineare il simbolismo identitario di Meloni senza collegarlo ai vincoli economici che il governo dovrà affrontare. Nel quadro dei vincoli e della scarsità di risorse in cui si troverà a operare, non stupisce che le priorità economiche annunciate del governo di Giorgia Meloni siano chiaramente neo-corporative e anti-universalistiche. Dalla soglia per l’uso del contante, alla «pace fiscale», alla flat-tax, alle restrizioni sul reddito di cittadinanza, fino al sovranismo alimentare (cosa diversa dalla sovranità alimentare), la cifra è chiara e netta.
Come mostrano gli eventi di questi giorni e gli «sbarchi selettivi», dobbiamo attenderci un uso spregiudicato degli strumenti pubblici e del diritto in chiave nativista e anti-differenzialista. Per questo, il simbolismo identitario della «nazione», termine sempre evocato da Giorgia Meloni, non richiama la Repubblica, ma l’interesse di gruppi e classi definiti a cui indirizzare provvedimenti e misure, in coerenza del resto con la tradizione politico-ideologica di cui tale simbolismo è figlio.

Emerge, in sintesi, un nuovo campo di battaglia politico e discorsivo sul cui sfondo si articolano le risposte del populismo di destra alle domande emergenti, ma che deve fare i conti con restrizioni e crisi economica.
Da sinistra lo spazio per rispondere è strettissimo, ma non può che passare l’abbandono dell’area di sicurezza delle diverse forze in campo, che devono farsi carico dei rischi necessari per rinnovare radicalmente linguaggi, classe dirigente e struttura organizzativa dell’offerta politica. Per ora, però, prevale il tatticismo della «zona di comfort»: consolidare l’esistente, soprassedere, posticipare e non perdere quel poco che si ha.

@FilBarbera