Se l’obiettivo del nuovo “califfo” Al Baghdadi è destabilizzare la regione e radicare lo Stato Islamico tra Iraq e Siria, nel tentativo di fare della sua nuova creatura la meta di miliziani estremisti da tutto il mondo, lo strumento più drammatico sono le sanguinose aggressioni contro la popolazione civile. Nel target dell’Isil finiscono tutti quelli considerati, nella personale interpretazione della Shari’a del movimento, degli apostati: musulmani sciiti, cristiani, yazidi.

Gli occhi del mondo sono oggi puntati sul nord dell’Iraq, dall’inizio di giugno teatro della fuga di centinaia di migliaia di civili. Prima è toccato agli sciiti delle province di Anbar e Ninawa, subito occupate dall’Isil: in pochi giorni un milione di persone raggiunse i checkpoint con il Kurdistan per avere salva la vita. L’ultima settimana ha visto invece la fuga disperata di 100mila cristiani dalle città di Qaraqosh, Tal Kayf, Bartella e Karamlesh, occupate il 7 agosto, e di decine di migliaia di yazidi – comunità curda vicina al zoroastrismo – scappati dalla città di Sinjar. Entrambe le minoranze sono sotto un attacco feroce: costrette a convertirsi all’Islam in cambio della vita.

Una minaccia concreta: sarebbero 500 gli yazidi giustiziati dai miliziani dell’Isil e sepolti in fosse comuni, alcuni di loro seppelliti vivi, fa sapere Mohammed Shia al-Sudani, ministro iracheno per i Diritti Umani, che aggiunge che 300 donne sarebbero state rapite dai jihadisti e ridotte in schiavitù. Difficile stimare gli sfollati yazidi: c’è chi parla di 50mila persone, chi di 150mila, rifugiatesi sul monte Sinjar. Molti altri sono riusciti a passare i checkpoint con il Kurdistan – si parla di 200mila persone – e hanno raccontato ai reporter presenti delle brutali violenze e delle perdite subite nel cammino. Ogni famiglia ha visto morire figli, fratelli, sorelle, anziani, uccisi dal caldo e la mancanza d’acqua o dalle pallottole sparate dai miliziani sulla folla. Raccontano di fosse comuni ed esecuzioni arbitrarie contro chi ha rifiutato di convertirsi all’Islam.

Moises Saman, fotografo peruviano, si trovava al checkpoint di Fishkhabur domenica ad aspettare l’arrivo dei profughi yazidi: «Migliaia di famiglie hanno attraversato il confine, una sorta di ponte improvvisato costruito sul fiume Tigri. Un costante torrente di persone, soprattutto donne e bambini. Persone stanchissime, tante sono collassate appena arrivate. Molti di loro erano senza scarpe. Tutti hanno raccontato di aver camminato per giorni senza cibo né acqua. Nessuno si aspettava tanti rifugiati e gli aiuti non sono bene organizzati, non è un campo profughi».

«Non ricordo nulla – racconta Ilyas Haku Namo, 64 anni – Sono fuggito con la mia prima e la mia seconda moglie e i nostri tre figli. Ma quando siamo saliti sulla montagna, la mia prima moglie e i bambini non ce l’hanno fatta. Non ho più nulla, voglio solo morire».

E su coloro che non hanno potuto arrivare al confine, ma hanno cercato scampo sul monte Sinjar (tuttora circondato dall’Isil), dai jet a stelle e strisce da tre giorni piovono i primi aiuti, 36mila confezioni di cibo e 27mila litri d’acqua, mentre le temperature estive sfiorano i 50 gradi. Dal cielo sono arrivati anche tende e filtri per l’acqua, sganciati dagli aerei britannici.

Jonathan Krohn, giornalista del Telegraph, il primo a raggiungere Sinjar, ha raccontato di centinaia di rifugiati che hanno preso d’assalto gli elicotteri dell’aviazione militare irachena che portavano acqua e cibo: «La valle della morte – l’ha definita il generale Ithwany, a capo della missione – Oltre il 70% sono già morti». Alle pendici, nella vallata, gli elicotteri hanno visto corpi abbandonati nella disperata fuga degli sfollati: tantissimi coloro che non ce l’hanno fatta a trovare rifugio sul monte.

Da venerdì piovono anche le bombe sganciate dagli F35 statunitensi sulle postazioni jihadiste, al confine con il Kurdistan iracheno e a pochi chilometri dalla capitale Irbil. Il sostegno militare Usa sta producendo già i primi effetti: ieri i peshmerga curdi sono riusciti a riconquistare due città settentrionali, Makhmour e Gweir e 25 villaggi intorno, a 30 km da Irbil, espellendo i miliziani dell’Isil. Nelle tv curde sono apparse ieri le immagini della bandiera della regione autonoma che di nuovo sventolava sulla sede degli uffici governativi a Makhmour, strategica comunità ricca di giacimenti di petrolio.

A permettere la vittoria curda, dopo le cocenti sconfitte archiviate nella diga di Mosul conquistata dall’Isil, è stato in parte il morale più alto tra le file peshmerga, con in dotazione armi vecchie, poche munizioni e nessuno stipendio. Ma nonostante i punti segnati dalle milizie curde, l’avanzata dell’Isil prosegue e con questa l’ingresso di armi e miliziani dal poroso confine siriano.