La disincantata violenza del mondo
Meeting Da domani a Udine «Vicino/Lontano», un festival dedicato alla «globalizzazione». Tortura, guerra, fame, crisi economica, migrazioni. I temi di un appuntamento che sarà aperto con un incontro dedicato a Giulio Regeni
Meeting Da domani a Udine «Vicino/Lontano», un festival dedicato alla «globalizzazione». Tortura, guerra, fame, crisi economica, migrazioni. I temi di un appuntamento che sarà aperto con un incontro dedicato a Giulio Regeni
Il titolo dell’edizione 2016 del festival di Udine «Vicino/lontano», «Dialoghi sul mondo che cambia», dà la cifra del macrotema trattato, la trasformazione profonda che investe la vita in comune nel nuovo scenario globalizzato, e si dipana in una serie di incontri per discuterne alcune delle declinazioni più spinose e urgenti. Innanzitutto la crescente fragilizzazione delle persone che di fatto vivono meglio delle altre: il ricco Occidente ipertecnologico, colto e gaudente, nonostante la crisi, si ritrova a vivere una condizione simile a quella del tardo impero romano in cui l’atteggiamento prevalente era quello blasé, disincantato, descritto già un secolo fa da che Georg Simmel, un atteggiamento in realtà cinico, e in cui i privilegi di cui si godeva mentre i barbari premevano alle frontiere inducevano, come i passeggeri del Titanic, a continuare a ballare sul ponte mentre la nave, che era stata ritenuta inaffondabile, colava lentamente ma inesorabilmente a picco.
Il problema davvero insormontabile, se non muta il taglio individualistico e narcisistico del cittadino «evoluto» occidentale, è che non ci si può aspettare alcuna salvezza da mondi differenti dove, se sono presenti la fame e la coesione sociale che da noi mancano, manca del pari un paradigma di società che possa essere considerato accettabile e «giusto». Non si può non ripartire da qui, poiché la fobia per l’istruzione e la conoscenza di Boko Haram e la corruzione, l’assoggettamento spietato e le pratiche brutali che vigono in molti paesi a maggioranza musulmana non potrebbero in alcun caso salvarci.
Non a caso il festival si apre il 5 maggio con l’incontro «La verità malata: da Ustica a Regeni». È stato necessario che un giovane e brillante ricercatore, Giulio Regeni, venisse atrocemente torturato e poi ucciso forse dal governo egiziano perché in Occidente si manifestasse un fremito di indignazione e di orrore e si attivasse una catena di solidarietà trasversale. Attenzione, l’Egitto ha agito nei confronti di Regeni con una barbarie così manifesta e scandalosa da attirare l’attenzione, ma non possiamo dimenticare come anche da noi siano state perpetrate atrocità su cui non è stato permesso indagare.
La tortura che suscita più scalpore è quella manifesta, quella delle unghie strappate e delle scariche elettriche o del water boarding, ma si può manifestare in mille modi diversi. Può essere infatti esercitata da persone che sembrerebbero «perbene»: ne parla la filosofa Donatella Di Cesare il 6 maggio nella sua lectio magistralis «Nelle mani del più forte. Nuove forme di tortura».
C’è comunque una forma di tortura particolarmente diffusa, una tortura che attanaglia un miliardo di persone e che ne fa morire 9 milioni ogni anno nel mondo: la fame. Ne parla del suo libro La fame Martín Caparrós, che quest’anno riceve il premio Terzani per un’opera scaturita dai suoi viaggi nelle zone del mondo in cui ancora si patisce e spesso si muore di fame.
L’autore è andato a parlare direttamente con le persone che ne sono colpite, e la sua impresa è particolarmente significativa perché può indurre chi fino a oggi ha girato il capo dall’altra parte a prendere atto che esistono situazioni assolutamente intollerabili sotto il profilo etico e che ciascuno di noi avrebbe il dovere di contribuire a sanarle. Assumere la propria vita, se non si possiedono il coraggio e la determinazione per andare a confrontarsi con chi soffre e muore in paesi lontani, dovrebbe consistere nel confronto de visu con «l’altro» che, magari per fuggire da una guerra o dalla fame, si è stabilito da noi.
Il multiculturalismo che accetta a parole le culture differenti a patto che rimangano nelle loro enclave ha mostrato la propria sterilità. È necessario partire sempre dal territorio in cui ci si trova, dalle persone da cui si è circondati, e il confronto può anche diventare conflitto ma è l’unico modo per entrare in relazione con l’altro e non continuare a vederlo come un arredo magari imbarazzante e sgradito o nel migliore dei casi pittoresco.
Al Festival si parlerà anche di Isis, di genitori «adolescenti», di scrittura creativa, di reddito minimo di cittadinanza, delle conseguenze della robotica e di molti altri argomenti. Per il programma completo: www.vicinolontano.it/
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento