La disfida sul tetto al contante: con Meloni sale a 10 mila euro
Fisco Per le destre "non deve penalizzare i poveri". Per le opposizioni "invece aumenta l'evasione fiscale". Il racconto di una polemica fatta durante la discussione sulla fiducia al Senato dove, tra l'altro, Meloni ha messo la pietra tombale sul salario minimo
Fisco Per le destre "non deve penalizzare i poveri". Per le opposizioni "invece aumenta l'evasione fiscale". Il racconto di una polemica fatta durante la discussione sulla fiducia al Senato dove, tra l'altro, Meloni ha messo la pietra tombale sul salario minimo
Aumentare il tetto al contante a diecimila euro oppure pagare con bancomat e carte di credito? Su questa antinomia ormai classica ieri si è di nuovo incagliata una delle discussioni al Senato nel corso del dibattito sulla fiducia al governo Meloni. Le destre sostengono che l’imposizione dell’uso della moneta elettronica escluderebbe chi non possiede carte bancarie, aggrava i costi del conto corrente e espone a rischi di «attacchi hacker». E «penalizza i più poveri» che, a loro dire, disporrebbero fino a 10mila euro in contanti…
LE OPPOSIZIONI hanno ribattuto invece che un aumento cospicuo del tetto a diecimila euro come previsto da un progetto di legge depositato dalla Lega equivarrebbe all’aumento dell’evasione fiscale in un paese che detiene anche questo record. Sono volate battute di ogni tipo dal ritorno «alle mazzette e alle valigette, come all’epoca di “mani pulite”» visto da Conte (Cinque Stelle) alla «preferenza del nero»: «ieri il condono per gli evasori fiscali oggi l’innalzamento del tetto per il contante» (Fratoianni).
LA PRESIDENTE del Consiglio Meloni ha pensato a quel punto di dare un colpo basso alle opposizioni e ha ricordato le parole di un ex ministro dell’economia, oggi passato al mondo bancario attraverso le porte girevoli, come Pier Carlo Padoan. Nel 2015 egli sostenne l’aumento del contante da mille a tremila euro disposto dal governo Renzi. Meloni ha però omesso la confessione di Padoan nel 2019 in cui ammise di avere fatto un errore ritenendo che non ci fosse una correlazione tra la riduzione del tetto al contante e il contrasto all’evasione fiscale. Lo ha fatto anni dopo l’implosione del governo Renzi. Un dato politico trascurato dalla vis polemica, unilaterale e dimentica, della nuova presidente del Consiglio abituata a descrivere la storia in base all’occasionalismo e opportunismo politico del momento.
CHE IL TETTO al contante sia, o meno, uno strumento per combattere l’evasione è un problema su cui si continua a dibattere. Ci sono studi che evidenziano tra l’altro i risparmi sul costo di distribuzione e custodia delle banconote oltre a quello per garantire la sicurezza. Nell’ottica di una lotta all’evasione la moneta elettronica aumenterebbe del +1% il Pil con un guadagno di 15-20 miliardi l’anno; aumenterebbe il gettito fiscale di 5-10 miliardi all’anno e produrrebbe 200-250mila posti di lavoro.
DALL’ALTRA PARTE c’è invece chi sostiene che il tetto al «cash» penalizzi una delle economia di sfruttamento delle città, quella del turismo. I limiti bloccherebbero la capacità di spesa dei turisti. A questo problema è stato già pensato. L’Italia è uno di quei paesi che hanno aumentato il tetto a 15 mila euro. In più, in un paese come il nostro dove esiste un «digital divide» con il Sud l’uso tendenzialmente esclusivo della «moneta elettronica» penalizzerebbe una parte importante della popolazione priva di infrastrutture all’altezza. Morale: non se ne farà niente. E si vedrà se l’ossessione delle destre produrrà effetti pro o contro l’evasione. Sempre che un giorno arrivino dati attendibili.
MELONI ieri ha dato un’altra versione cristallina del classismo della flat tax. Misura fiscale ingiusta e incostituzionale che è stata associata al «merito». «Chi ha fatto di più è giusto che venga premiato» ha risposto al senatore a vita Mario Monti che ha annunciato la sua astensione. Chi allora guadagnerà di più sotto il governo dell’estrema destra postfascista pagherà meno tasse. Sarà premiata la sua «imprenditorialità», valore caro ai reaganian-thatcheriani che parlano di «Dio, patria e famiglia», e non il fatto che la loro intraprendenza è una valore civile, sociale ed economico da condividere e rendere solidali. A chi ha criticato l’innalzamento del tetto da 65 a 100 mila euro per la flat tax alle partite Iva (e quella «incrementale» del 15% su quanto dichiarato in più rispetto all’anno precedente), Meloni ha opposto la giustificazione strampalata secondo la quale «la tassa piatta andrebbe bene per gli ipermilionari, ma non per le partite Iva?». Un’allusione a una proposta del Pd «per chi faceva rientrare i soldi dall’estero». Non vanno bene né l’una, né tanto meno l’altra che farà un regalo fiscale proporzionalmente maggiore per le partite Iva affluenti contro quelle proletarizzate.
POI È ARRIVATA la pietra tombale sulla legge sul salario minimo legale orario. Per quattro anni Pd, Cinque Stelle e altri hanno cincischiato alla ricerca della quadratura del cerchio con le parti sociali. «È uno specchietto per le allodole» ha ribadito Meloni che preferisce l’estensione dei contratti nazionali senza prospettare una politica dei salari. In attesa che trovi le risorse per finanziare un dispersivo taglio pluriennale al cuneo fiscale del 5% per imprese e lavoratori saranno molte le illusioni ad essere bruciate in un paese che sta entrando in recessione.
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