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La disfida del biondo e il vaso di Pandora

La disfida del biondo e il vaso di PandoraMaria Rosaria Boccia e Beatrice Venezi – foto Ansa

Habemus Corpus Banalizzando, potremmo definirla una guerra fra bionde. Una è forse finta (Maria Rosaria Boccia), l’altra è forse rinforzata (Beatrice Venezi)

Pubblicato 2 mesi faEdizione del 17 settembre 2024

Banalizzando, potremmo definirla una guerra fra bionde. Una è forse finta (Maria Rosaria Boccia), l’altra è forse rinforzata (Beatrice Venezi). Sulle sfumature del biondo non mi esprimo perché non vorrei finire querelata da un parrucchiere.
Le parole e i post della prima hanno terremotato un ministro, Gennaro Sangiuliano, che in verità ha fatto di tutto per affondarsi da solo. Della seconda sappiamo che è direttrice d’orchestra, figlia di quel Gabriele che nel 2007 si candidò sindaco dalle file di Forza Nuova, che il suddetto ministro la nominò consulente musicale sbaragliando una concorrenza di tutto rispetto, che è testimonial di una casa di prodotti tricologici, che fu contestata da alcuni orchestrali del Politeama di Palermo per ragioni musicali e dai loggionisti di Nizza al grido di «Non vogliamo i fascisti all’Opera», che ha una discreta attività direttoriale che spazia dalla Toscana a Taormina, dall’Armenia alla Georgia.
Le due signore hanno incrociato le spade mediatiche nei giorni scorsi con la seguente sequenza. Boccia divulga che Venezi riceve ogni anno dal ministero 30mila euro e che dovrebbe dirigere un concerto al prossimo G7 cultura a Pompei e che il MiC, per aggirare il conflitto di interessi, non la pagherebbe direttamente ma attraverso l’orchestra. Apriti cielo. Venezi annuncia querela.

Potremmo anche dar retta a Massimo Cacciari che pochi giorni fa, a Otto e mezzo, ha detto che non se ne può più dell’affair Boccia/Sangiuliano derubricabile a pochade, ma questa ulteriore puntata non è mica tanto da barzelletta perché illumina due o tre questioni.
La prima è che questa guerra fra bionde annulla una prassi cara al femminismo secondo cui fra donne si può confliggere anche con durezza, ma mantenendo forte una solidarietà di genere. La disfida Boccia/Venezi sembra invece un revival di quell’Eva contro Eva che piace tanto a chi si diverte vedere due donne tirarsi i capelli.
La seconda questione è che Boccia solleva il coperchio di un succosissimo vaso di Pandora, quello di consulenze e incarichi pagati con soldi pubblici e che, stando all’attuale governo, dovrebbero premiare solo i più bravi. Pur con tutti i distinguo che si possono fare su metodo e merito, Boccia dice qualcosa a cui bisognerebbe prestare attenzione, ovvero che il sistema di nomine, consulenze e compensi, di cui ella stessa era ben felice di far parte finché non è stata esclusa dai giochi, è opaco.

Non siamo fra gli ingenui che credono che i puri stiano tutti da una parte e i corrotti dall’altra. Le relazioni pesano in qualunque campo politico, ambito e Paese, ma allora a che altezza decidiamo di fermare l’asticella? Ogni società stabilisce, in proposito, delle sanzioni sociali. Ci sono Paesi dove se si scopre che un politico non ha pagato i contributi alla domestica deve abbandonare per sempre le sue ambizioni e altri in cui basta stare acquattati due o tre anni tanto poi ogni nefandezza viene dimenticata. Ci sono posti dove esistono le scuse e la pubblica vergogna, altri in cui se si sbaglia è sempre colpa di qualcun altro.
Il terzo aspetto riguarda il modo in cui viene raccontata la voce che metaforicamente dice che il re è nudo. Se è una donna a svelare il non detto, parte in automatico la delegittimazione e allora via con la descrizione della postura, del trucco, degli abiti, via con l’analisi dei titoli di studio, con le interviste non benevole all’ex marito. Soprattutto, si fomentano interrogativi su chi la manovra, come se una donna avesse sempre bisogno di un regista per parlare.
Beh, sappiate che a volte dietro c’è soltanto un parrucchiere.

mariangela.mianiti@gmail.com

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