La proroga dal 2 al 31 maggio del termine entro il quale le scuole dovranno reclutare i nuovi «docenti tutor» che dovranno «allineare» il mondo della scuola al mercato del lavoro è un brutto segno per il ministro dell’istruzione «e del merito» Giuseppe Valditara. Le adesioni volontarie dei docenti non stanno arrivando con i numeri sperati.

«Cifre ufficiali non ce ne sono perché il bando è ancora aperto – racconta Tito Russo, membro della segreteria della Flc Cgil regionale del Lazio – Ma il segnale è di una scarsa partecipazione e in alcuni casi di un rifiuto esplicito da parte del personale». Evidentemente non basta l’incentivo economico a convincere il personale ad aderire all’ultima alzata di ingegno del ministero. «Sulla carta sono molti soldi, fino a 4700 euro lordi a docente – aggiunge Russo – Detratti oneri e imposte, si riducono a meno di 1500 euro netti per ciascuno». Il tempo stringe, perché si tratta di uno dei capitoli del Pnrr e il governo non può dimostrarsi incapace di spendere anche questi fondi.

In questi giorni nelle scuole si stanno svolgendo accese assemblee del personale intorno ai punti più critici del provvedimento, che prevede l’ennesimo svilimento del valore legale del titolo di studio: nella scuola del futuro, il diploma sarà superato dal «portfolio» dello studente, in cui dovrà brillare «un prodotto riconosciuto criticamente dallo studente in ciascun anno scolastico e formativo come il proprio “capolavoro”» (sic).

Il «docente tutor» dovrà confezionare il portfolio e organizzare trenta ore annuali di orientamento obbligatorio da svolgere in orario scolastico nel triennio finale delle superiori. Si moltiplicano i dubbi sull’attribuzione di oneri e onori delle nuove attività e sulle ricadute sulla comunità scolastica. Il ministero ha anche promesso vantaggi ai docenti che si candideranno a fare i tutor: l’ultima direttiva prevede un punteggio aggiuntivo utile per ottenere una corsia preferenziale nelle richieste di trasferimento.

Con un effetto perverso: proprio le scuole delle aree più disagiate rimarranno sguarnite dai «docenti tutor» dato che il nuovo incarico faciliterà il trasferimento verso una sede più comoda. Sempre che la norma non sia impugnata, visto che le regole della mobilità del personale scolastico sono materia di contrattazione sindacale e non possono cambiare per atto unilaterale.

Nessuno tuttavia si illude che, a meno di un mese dalla fine dell’anno scolastico, mobilitazioni e scioperi possano fermare il Pnrr. Al massimo, si ricorre a questa diserzione silenziosa. Il «preferirei di no» di massa arriva da lontano. Il tempo-scuola così si riduce ulteriormente, i problemi rimangono sul tappeto ma si moltiplicano le attività ridondanti. Gran parte dei docenti si oppone al carico cresciuto negli anni di incarichi burocratici che mortificano la professione e spezzettano la didattica con attività di dubbio valore, dettate da esigenze esterne più che da quelle della scuola. Prima le 200 ore di alternanza scuola lavoro della «buona scuola» renziana, ora ridotte a 90 e ridenominate «percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento» (Pcto). Poi le 33 ore di educazione civica, una materia trasversale e quindi di tutti e di nessuno.

Adesso le 30 ore annuali di orientamento obbligatorio. Saranno affidate al nuovo docente tutor, al Pcto come prevede la sua sigla o alla «funzione strumentale orientamento» che nelle scuole esisteva già? Poco importa. Da anni la scuola è più utile ai governi per alimentare un mercato della formazione spesso truffaldino o come discarica per questioni altrimenti irrisolte.