Ricordate quando al Viminale sedeva il Ministro della Propaganda? Ogni giorno fiumi di parole che aumentavano odio e rancore nella società, e proprio da chi, per il ruolo istituzionale, avrebbe dovuto occuparsi di sicurezza delle persone. Sono passati pochi mesi e, per fortuna, da quelle stanze non arrivano più editti, insulti e minacce. Questo non è poco, ma non basta a cambiare la direzione culturale e politica del Paese, né a ridurre lo spazio della destra a trazione leghista.

La discontinuità promessa all’inizio del Conte Bis non si vede e non sembra nell’orizzonte di questa nuova maggioranza. Dalla lista dei «Paesi Terzi sicuri» di Di Maio, all’accordo di Malta della neo Ministra Lamorgese, che rischia peraltro di rappresentare un ostacolo alla riforma del Regolamento Dublino (che, va ricordato, può essere votata a maggioranza nel Consiglio Europeo, senza l’alibi dei Paesi di Visegrad), all’applicazione della procedura accelerata introdotta dal Decreto Sicurezza di Salvini, alla conferma nelle scorse settimane dei finanziamenti per mezzi e formazione della cosiddetta guardia costiera libica (con soldi dell’EU Trust Fund), sembra prevalere la volontà di andare avanti nella direzione tracciata dall’ex inquilino del Viminale. Senza scelte e atti concreti che rappresentino un’inversione a U in tema di diritto d’asilo e immigrazione, Salvini, anche dall’opposizione, continuerà a restare il solo che raccoglie consensi. La continuità o il silenzio rappresentano un suicidio per le forze che sostengono questo governo. Eppure di provvedimenti positivi e alternativi al recente passato, anche senza modifiche legislative, se ne potrebbero adottare tanti, a partire dal decreto flussi, con quote per lavoro non stagionale adeguate alle esigenze del mercato del lavoro sino ai decreti attuativi della legge sui minori stranieri non accompagnati. A poco serviranno le parole controcorrente di un gruppo di generosi parlamentari, se a questo dissenso non farà seguito un cambio di rotta del Governo.

Davanti agli occhi dell’opinione pubblica mondiale si stanno perpetrando crimini contro l’umanità e fare finta di non vederli, come hanno scritto 25 parlamentari della maggioranza, è non solo da irresponsabili, ma rende questo governo complice. Il lavoro d’inchiesta di Nello Scavo e Francesca Mannocchi ha dimostrato che questa materia è oggetto di contesa tra le parti del conflitto libico, anche dentro il governo Sarraj. In Libia, come in un gioco macabro di porte girevoli, le stesse persone sono un giorno trafficanti e il giorno dopo guardie. Il trafficante Bija, contro il quale il Ministro dell’Interno di Tripoli ha spiccato un mandato di arresto – anche a seguito dell’intervento del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni unite che lo ha riconosciuto come trafficante di esseri umani – è stato confermato capo della guardia costiera di Zawhia, cui l’Italia affida le persone che fuggono via mare. Un pericoloso criminale coprirà dunque quello stesso ruolo per altri 3 anni, sulla base del Memorandum che scade il prossimo 2 febbraio e che viene tacitamente rinnovato oggi, con risorse, strumenti e servizi erogati dal nostro governo. Come ha chiesto il Tavolo Asilo in una lettera aperta al governo e al Parlamento, rilanciata dalla campagna Io Accolgo (www.ioaccolgo.it), è necessario bloccare adesso il Memorandum. Non c’è alcun motivo valido per dare continuità ad un accordo che, pur contenendo già un tanto ovvio quanto impraticabile riferimento ai diritti umani e all’intervento dell’Onu, ha prodotto in questi 3 anni violenze, lutti e sofferenze, alimentando il conflitto e trasformando migliaia di persone in ostaggi da utilizzare per acquisire visibilità e potere in uno scenario di guerra.

Nessuno chiede all’Italia di ritirarsi, disinteressandosi di quel che accade in Libia. Anzi. Sarebbe auspicabile che l’Italia si facesse carico di mobilitare seriamente la comunità internazionale per promuovere un processo di pace credibile. Per farlo bisogna però annullare quel Memorandum (lo si può fare in qualsiasi momento), che è stato ideato e sottoscritto solo per poco nobili calcoli elettorali, dimostratisi peraltro errati.
Se ci si vuole occupare seriamente delle sorti della Libia, si avvii immediatamente un piano di evacuazione dei prigionieri dei lager pubblici e di quelli privati, in mano alle tante bande che si contendono il territorio, sottraendo a queste la principale arma di ricatto internazionale. Si favorisca il protagonismo di quei soggetti della società civile che da anni chiedono all’Europa e all’Italia di non finanziare bande e milizie contro l’immigrazione, denunciando la strumentalità di questi «aiuti» e come quelle risorse aumentino la forza delle bande. Si diano alle Nazioni Unite risorse e strumenti per operare in quell’area, con l’obiettivo di far tacere le armi e far parlare la diplomazia. Un processo che è l’esatto opposto del tacito rinnovo del Memorandum, anche con piccole modifiche di forma, che non fermeranno gli orrori ai quali ogni giorno assistiamo colpevolmente inermi.