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La “Dionisottiade” dell’amica di Bigorio

La “Dionisottiade” dell’amica di BigorioIl convento Santa Maria dei Frati Cappuccini di Bigorio, Svizzera, in un’incisione di Giovanni Zgraggen

Carteggi Carlo Dionisotti e Giulia Gianella si conobbero in un seminario estivo di Padre Pozzi: ne nacque uno scambio epistolare di 30 anni: «Cabbages and Kings», Cantonetto

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 18 febbraio 2018

Il 2018 segna i venti anni dalla morte di Carlo Dionisotti, lo studioso che forse più di ogni altro nel Novecento ha influito sul nostro modo di intendere la letteratura italiana, pur avendo trascorso gran parte della vita in Inghilterra, e l’anniversario può servire da pretesto per osservare quanto la lezione di quel maestro sia rimasta viva: basta a testimoniarlo la pubblicazione complessiva dei suoi Scritti di storia della letteratura italiana, curati da Tania Basile, Vincenzo Fera e Susanna Villari per le Edizioni di Storia e Letteratura, che si avvia al quinto e ultimo volume. Tuttavia la presenza di Dionisotti nella complicata vicenda culturale del Novecento italiano si è resa più evidente negli ultimi tempi grazie anche all’uscita di alcuni suoi carteggi e si devono certo ricordare quello con la casa editrice Einaudi (curato da Roberto Cicala, 2012), quello con padre Giovanni Pozzi (curato da Ottavio Besomi, 2013) e quello, intenso e bellissimo, con Vittorio Cian (curato da Aurelio Malandrino, 2016). La raccolta delle carte dello studioso in un archivio presso l’Università di Messina e la creazione di una collana intitolata appunto «Carteggi di Carlo Dionisotti» presso le Edizioni di Storia e Letteratura promettono novità a termine non troppo lungo.
In questo panorama epistolare segnato dai nomi famosi dell’accademia e dell’editoria, Ottavio Besomi propone ora un capitolo più defilato, si direbbe quasi domestico, e pubblica le lettere scambiate tra il critico e l’amica Giulia Gianella, svizzera, allieva di padre Pozzi a Friburgo e insegnante nel Canton Ticino (Cabbages and Kings Carteggio 1966-1995, Lugano, Edizioni del Cantonetto, pp. 288, fr. 26). L’occasione dell’incontro tra i due è uno dei seminari estivi per studenti che Pozzi organizza, a partire dagli anni Sessanta, prima a Roseto in Vallemaggia e poi al convento cappuccino di Bigorio in Capriasca: iniziative cui partecipano i nomi migliori dell’università di quegli anni (Augusto Campana, Giuseppe Billanovich, Dante Isella, Cesare Segre, oltre a Dionisotti) e che rimangono leggendarie nella memoria dei convenuti. Nel ’66 Gianella comincia a scrivere a Dionisotti e le lettere trasmettono già una certa confidenza, frutto del clima di collaborazione scientifica instauratosi a Bigorio, ma anche di una notevole simpatia umana, che durerà fino alla fine, quando nel ’95 la fibra forte e generosa della donna dovrà cedere a un male incurabile. In quei trent’anni si parla di quasi tutti i lavori di Dionisotti, da Geografia e storia della letteratura italiana a Machiavellerie, tra l’impazienza di Gianella che non vede l’ora di leggerli e l’ironia del professore che ne finge distacco, ma ciò che si ricorda di più è il tono della corrispondenza, che non abbandona mai il suono sincero dell’affetto. In questo sorprende soprattutto Gianella che, come osserva giustamente Besomi nella sua misurata introduzione, sembra intuire da subito la vena più profonda e melanconica del suo interlocutore e provocarlo, quasi sfidarlo con la propria allegria. E la sua scrittura si calibra al fine con una giocosità che il lettore scopre volentieri: uno «stile festivo», fatto di notizie che «una casalinga potrebbe comunicare a un’altra», pronto a intessere una «Dionisottiade» unendo alla «sconsideratezza costituzionale l’irresponsabilità della nubile». Un Dionisotti divertito risponde sempre alla pari, con frequenti calembours, talvolta con confidenze personali dolorose, e nel 1988 dedica agli studenti di Bigorio, ma in particolare a Giulia Gianella, i suoi Appunti sui moderni, che vinceranno il premio Viareggio. Lei si chiede: «quale sant’Antonio ha fatto piovere sulla mia testa tanta grazia» e rassicura: «sto molto attenta a non perdere i sacchi di sabbia che mi ancorano alla terra. Se no, mi vedrà passare come una mongolfiera sul cielo di Romagnano» (dove si trova la casa della famiglia di Dionisotti e dove lui trascorre i suoi periodi italiani, quando è libero dall’insegnamento londinese).
Lungo gli anni si alternano pessimistiche aperture sull’Italia contemporanea e sarcasmi sulle mode ermeneutiche che agitano le acque dell’accademia. In alcune punte c’è tutto il Dionisotti più lapidario. Nel dicembre del ’77 per esempio: «Teoricamente ho sempre fiducia nell’Italia del futuro. Ma in pratica è come se digerissi male e soffrissi di fegato». In altre si fa vivo il suo spirito più caustico. Nel 1981, montante la marea narratologica, il professore è colpito dal risvolto di copertina di un libro inviatogli da Gianella, in cui legge la massima «Smontando e rimontando / l’allievo diventa saggio»; e allora fulmina la «monta narrativa», ma accondiscende bonario: «Riconosco le virtù sociali e accademiche del diavolo narrativo. Se piace ai ragazzi, se ci tiene insieme, fra loro e con quelli che non sono più ragazzi, è un benemerito diavolo».
Nel 1985 «L’Indice dei libri del mese» ripropone un articolo di Dionisotti apparso in origine nel 1944 sui «Nuovi Quaderni di Giustizia e Libertà» all’indomani dell’uccisione di Giovanni Gentile. È uno scritto famoso, in cui il militante antifascista Dionisotti pronuncia un giudizio molto severo su Gentile, uomo e filosofo, e di fatto approva la sua esecuzione. Quelle pagine, che l’autore non rinnegò mai e che nella loro intransigenza proiettano una luce incandescente sullo scandalo della guerra civile vissuta dai protagonisti, turbano profondamente Gianella, la quale allora ne chiede ragione a Dionisotti stesso, evocando Carducci («sarà perché sono cattolica, sarà perché sono donna (… e le donne piangenti sotto i veli) ma non posso far a meno di solidarizzare con il morto ammazzato») e interpella padre Pozzi al riguardo. È questo uno dei punti più alti del libro e il curatore fa benissimo a inserire nel volume l’articolo del ’44 e la corrispondenza tra Gianella e Pozzi: il dramma a tre voci che ne esce è da tragedia manzoniana. L’uomo di Chiesa Pozzi riesce a osservare i contendenti di allora con l’occhio della pietà e distingue tra il giudizio storico sui fatti, spostando comunque i termini della questione a un passato meno remoto, e la difficoltà teologica del perdono. Dionisotti conserva la posizione più radicale, che però nelle sue parole è quella «dei mal vivi o viventi abusivi», sopravvissuti a una catastrofe: «il trauma di 40 anni fa, di tanto odio e male e morte è rimasto». Il perdono è una possibilità concessa agli altri, a quelli che sono venuti dopo, come l’amica Giulia: «Non si può vivere senza togliere lo sguardo dal male e dalla morte che ci assillano, e senza guardare al bene e alla sopravvivenza quali che siano».
L’ultimo anno di corrispondenza, dopo che Gianella ha informato Dionisotti di essere minacciata da un male gravissimo, corre appena velato di ombra, ma sempre increspato dallo spirito consueto da parte di entrambi, che spesso tornano su vecchi mots refrain quasi a esorcizzare o ad allontanare una fine temuta. Il professore non manca di spedire le sue opere che escono via via e lei lo ringrazia con la solita verve, ricambiando con le novità di qualche quotidiano italiano. Le lettere sono occasione per raccontarsi gli acciacchi che con origine diversa aggravano la vita e consolarsi a vicenda, come se le malattie potessero avvicinare. L’ultima lettera di Giulia è del settembre 1995. Nel maggio ’96 Dionisotti scrive a Pia Gianella, sorella di Giulia, per ringraziarla di due fotografie: «C’è anche, può e deve durare il bene che abbiamo avuto, tanta gentilezza e intelligenza e arguzia e vivacità e bontà».

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