Cultura

La diffidenza del potere. Principi italiani tra il papa e Carlo V

La diffidenza del potere. Principi italiani tra il papa e Carlo V

STORIA «Aspettando l'imperatore», di Elena Bonora per Einaudi. 1549. Muore Benedetto Accolti e le sue carte diventano oggetto di timori pubblici

Pubblicato più di 7 anni faEdizione del 24 febbraio 2017

«Nella primavera del 1543 il cardinale italiano Benedetto Accolti scriveva una lettera in spagnolo all’imperatore Carlo V. Senza mezzi termini dichiarava che, se il Turco e il re di Francia erano i peggiori “nemici pubblici” dell’Asburgo, il “nemico più certo, che maggiormente sotto sembianze di amico può danneggiare e danneggia Vostra Maestà, è il papa”. Facendosi portavoce dei suoi servitori e amici in Italia, il cardinale suggeriva a Carlo V di sbarcare non a Genova, dove l’imperatore era atteso lungo la strada che lo doveva portare in Germania, ma a Gaeta, e di invadere lo stato della Chiesa “cominciando dalla testa, che è Roma”».

CON QUESTE PAROLE si apre il libro di Elena Bonora, Aspettando l’imperatore. Principi italiani tra il papa e Carlo V (Einaudi, pp. 286, euro 32). Un quadro affascinante degli scenari politici dell’Italia del Cinquecento, con un focus sul papato di Paolo III Farnese. Basandosi su documentazione d’archivio in parte inedita, Bonora ricostruisce le strategie di un fronte italiano formato da principi laici ed ecclesiastici (come lo stesso Accolti), ai quali si univano personalità borgognone e castigliane, che vedevano in Carlo V l’unico possibile riformatore della Chiesa; nonché l’unico avversario politico dell’odiato pontefice. Nel progetto sembrano insomma unirsi prospettive, esigenze politiche e prospettive messianiche.

In Italia, il ruolo più importante in questo fronte era giocato da Cosimo de’ Medici, il grande avversario del papa Farnese; ma anche i due fratelli Gonzaga, Ercole cardinale e signore di Mantova, e Ferrante, governatore di Milano per volontà dell’imperatore avevano un peso rilevante.

OLTRE A PERSONAGGI in apparenza minori, in realtà umanisti e uomini politici dal profilo straordinariamente interessante. Il libro è denso di informazioni ma al contempo pieno di colpi di scena: come la sequela di congiure più o meno riuscite, ma che spesso sfociavano in assassini politici.

Si pensi all’attentato contro il figlio del pontefice, Pier Luigi Farnese, signore di Parma e Piacenza; che in gioventù, quando il padre era cardinale, militando nell’esercito di Carlo V aveva partecipato al sacco dei Lanzichenecchi, pur salvando con la propria presenza il palazzo di famiglia. Vero è che l’offensiva diplomatica, e potenzialmente militare, contro Paolo III non condusse a un risultato concreto. La nuova discesa dell’imperatore contro Roma non avvenne e, morto il papa Farnese, il fronte si sciolse.

Tuttavia l’interesse del libro non sta tanto nella ricostruzione, peraltro puntuale, di questo episodio. Quanto nel mostrare in che modo funzionavano e si gestivano le politiche italiane ed europee del tempo. È insomma in primo luogo un esempio di metodo storiografico, perché fa cogliere la complessità di un’epoca e della sua civiltà.

E PENSARE che c’è ancora chi guarda al Cinquecento come al secolo nel quale l’Europa cristiana si univa contro il pericolo ottomano. Come scriveva Benedetto Accolti a Carlo V: c’era ben altro di cui preoccuparsi.

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