La differenza fra vestirsi e travestirsi in tivù
Habemus Corpus La televisione è come una belva feroce, mostra in tutta la sua spietatezza sia gli eccessi di confidenza che le imperizie
Habemus Corpus La televisione è come una belva feroce, mostra in tutta la sua spietatezza sia gli eccessi di confidenza che le imperizie
Nel mio spesso sconsolato vagare da un tg all’altro, da una rete all news a una trasmissione di approfondimento geopolitico, vedo di tanto in tanto apparire volti nuovi con relativo stile di abbigliamento, detto anche look, una cosa che quando vai in televisione non è per nulla trascurabile perché l’abito dice agli altri chi sei, come ti pensi, cosa mandi a dire. La televisione è come una belva feroce, se non la conosci e non la sai maneggiare ti mangia, mostra in tutta la sua spietatezza sia gli eccessi di confidenza che le imperizie, le baracconate e le sciatterie. Il piccolo schermo chiede di sottolineare o sottrarre, equilibrio difficilissimo per raggiungere il quale serve un certo mestiere e molta sicurezza di sé.
Se per alcuni mezzi busti si capisce all’istante che hanno preso qualche chilo perché il bottone mediano della giacca comincia a tirare sulla pancia, complice quella maledetta postura da seduti che piazza al centro dello schermo proprio il punto assassino, se per alcuni ospiti, spesso maschi, appena li vedi ti viene da dirgli «Per favore vai dal dentista a farti una pulizia approfondita», lo scivolone più frequente su cui cadono le signore è l’eccesso di decorazioni o lo sbaglio colore.
Ce n’è una, in particolare, co-conduttrice di una striscia informativa serale, che non ne azzecca una. Sceglie spesso i bordeaux, gli amaranto o i marroni, che spegnerebbero anche un neonato, si lascia stirare i capelli quando si intuisce che starebbe meglio più nature e selvaggia. Pochi giorni fa indossava uno striminzito gilet gessato con coordinata striminzita cravatta che facevano a pugni con le sue forme mediterranee strette in una bianca maglietta, ma il peggio lo ha prodotto quando si presentò divisa a metà, con una gamba del pantalone e una manica chiara e le altre due scure, neanche dovesse andare al Palio di Siena.
Ci sono stilisti che odiano le donne e altri che le amano e ognuna di noi dovrebbe chiedersi seriamente a quale delle due categorie appartiene l’autore di ciò che ci stiamo infilando, perché non sta scritto da nessuna parte che dobbiamo essere le grucce di qualcuno che disegna abiti senza pensare che, poi, per la strada, sui mezzi, al lavoro, al supermercato, al ristorante, a una festa, a una riunione, sul red carpet o in tivù siamo noi a indossarli e non il suo ego.
L’alternativa è fregarsene, come fanno le colleghe che conducono il tg di Arté che, in piedi e riprese a tutta figura, non si preoccupano se il jeans sottolinea forme opulente, se una certa gonna ammazza la caviglia, se il capello è rasta spintissimo, se quella decolleté sembra quella della nonna, se una camicetta è troppo fiorita, se un maglioncino tende allo psichedelico o se è vestita come un maschiaccio, come a dire «Mi state guardando per quello che dico e non per come mi abbiglio». È una tecnica che funziona perché, dopo aver notato la varietà non sempre azzeccata di stili, te li dimentichi, anche perché davvero ti interessa di più sentire quello che dicono che guardare come si vestono.
L’equilibrio dell’immagine televisiva risponde a infinite variabili di ruolo, mestiere, intenzioni, personalità, obiettivi, gusto nazionale, abitudini, schematismi, influenze, narcisismi, insicurezze sia di chi sta di là che di qua dallo schermo. E quindi, probabilmente sbaglio io a giudicare mal vestita la signora camuffata da Palio di Siena. Forse ha ragione lei, se è felice così. Tuttavia, fossi in lei proverei a cambiare stilista o consulente di immagine, così, tanto per vedere l’effetto che fa affidarsi a qualcuno che ti vuole solo vestire e non travestire.
mariangela.mianiti@gmail.com
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