L’emendamento era già stato bloccato da palazzo Chigi la settimana scorsa. La Difesa nella notte tra mercoledì e giovedì ha provato a infilarlo di nuovo nel decreto pubblica amministrazione. Un’evidente forzatura istituzionale: il tentativo di far passare una riforma ordinamentale degli assetti di vertice del ministero, approfittando di un decreto legge. Precisamente quello che pochi giorni fa Mattarella ha detto ai presidenti di camera e senato – e per loro tramite al governo – che non si può (più) fare. Così, dopo le proteste di Pd e M5S, l’emendamento è tornato indietro. «Come gesto di responsabilità e di apertura alle opposizioni», ha provato a raccontare il ministro Crosetto. Che certamente ci riproverà.

Il senso della modifica proposta, una vera riforma di sistema persino per le dimensioni del testo poco adatta a un emendamento, è quello di sdoppiare le competenze del segretario generale della difesa. Che oggi è un generale di corpo d’armata, la quinta figura del vertice militare, assieme al capo di stato maggiore della Difesa, i capi di stato maggiore delle tre Forze Armate e il comandante generale dell’Arma dei Carabinieri. Il segretario generale della difesa (in carica c’è il generale a quattro stelle dell’esercito Luciano Portolano) oggi è anche il direttore nazionale degli armamenti: si occupa cioè in prima persona degli acquisti dei sistemi d’arma. Per la decisione di aumentare la spesa militare e la volontà di ricostituire gli arsenali dopo le spedizioni in Ucraina, nei prossimi anni sarà tra i principali centri di spesa del paese. Crosetto segue e peggiora la linea indicata già nel Libro bianco della Difesa nel 2015, poi tradotta in disegno di legge dall’allora ministra Pinotti (governi Renzi e Gentiloni) e punta a sdoppiare la figura, lasciando al segretario generale competenze più tecnico-amministrative e al direttore nazionale il portafoglio nel supermarket delle armi.

Per i 5 Stelle che ieri hanno rivendicato (come il Pd, in quel caso per ragioni di metodo) lo stop al blitz «bellicista» di Crosetto, il rischio era quello che il futuro direttore degli armamenti «potrebbe essere anche un dirigente civile di fiducia del ministro, con evidenti rischi di conflitto di interessi vista la passata attività di Crosetto a capo dell’associazione delle industrie belliche». In realtà già la legge attuale prevede che il segretario generale possa essere un civile, ma non è mai accaduto. Il vero rischio, a prescindere dalle aderenze con l’industria militare dell’attuale ministro, non è quello di sottrarre chi ha la responsabilità degli acquisti dal rapporto con il potere politico, ma al contrario quello di sottomettere gerarchicamente il responsabile della spesa al capo di stato maggiore della difesa. Che è il committente degli acquisti, una figura già troppo poco distanziata nel nostro sistema dal «complesso militare industriale».