La destra nazionale di Salvini: «Non razzisti, siamo normali»
Lega Riempita piazza del Popolo. Senza saluti romani e il vecchio folklore. Nel nome di uno solo
Lega Riempita piazza del Popolo. Senza saluti romani e il vecchio folklore. Nel nome di uno solo
E così il partito della nazione l’ha fatto quest’altro Matteo, Salvini. «Siamo il primo movimento politico del paese» può dire. Alle elezioni è arrivato terzo. Di Maio ha preso il doppio dei suoi voti. Non conta più niente. Salvini si erge sulla piazza del Popolo e non parla a nome di quel vecchio 17%, non del 30 e passa che gli riconoscono i sondaggi e nemmeno a nome di tutta la maggioranza. Parla per tutti. Arriva, manda baci, si inchina e saluta a mani giunte lungo tutti i tre minuti del «Nessun dorma». Poi comincia così: «Vi ringrazio a nome di 60 milioni di italiani».
La piazza l’ha riempita. Tanto. Diecimila secondo le previsioni della questura, ottantamila secondo lui che è il capo di tutte le questure. E sta in scena con la felpa della polizia. Palco azzurro, vuoto. Solo scritte, e quasi sempre la scritta è Salvini. C’è il suo nome nei simboli, il vecchio e il nuovo che qui viene lanciato senza scomodarsi in annunci ufficiali: «Prima gli italiani – Io sto con Salvini». C’è il suo nome nei richiami ai profili social personali. I suoi. C’è la sua foto di profilo in dimensioni colossali sui due lati della scena. C’è lui in tv che già parla prima di cominciare a parlare. Appare in posa in mezzo mondo: con lo sceicco, a Tripoli, a Vienna, con un africano. Pare abbia viaggiato solo per condividere l’immagine.
«La Lega è l’unico partito che ha un leader forte e riconosciuto ed è questo che chiede la gente – dice Pina Fabiani mentre regge lo striscione di Ladispoli, sono venuti in venti dalla cittadina sul litorale laziale compresi cinque consiglieri comunali – io sono stata per anni militante di An, mi trovo bene con Fratelli d’Italia e anche con il povero Berlusconi, ma non sopporto i 5 Stelle che sono tutti riciclati. Prima rompiamo l’alleanza meglio è». «I 5 Stelle – giura Filippo D’Aprile di Castellana Grotte, in provincia di Bari – al sud sono finiti, non saranno mai più il primo partito». Racconta di una lunga militanza grillina vissuta al fianco di chi oggi è ministro o senatore – «dovevo essere io il candidato all’uninominale» – evoluta in un rancore verso il movimento e in una recente passione per la Lega. «M5S con il dietrofront sul Tap ha perso la faccia». La Lega però non è certo contraria al gasdotto. «Non è questione di essere pro o contro, è questione di mantenere le promesse. Salvini è coerente, io preferisco seguire lui e mi creda non sono il solo».
E’ UNA PIAZZA TRANQUILLA. A marzo di tre anni fa, dopo un corteo, c’erano anche i saluti romani ed era meno piena. Stavolta non c’è CasaPound e non c’è più nemmeno il ricordo del folklore leghista delle origini. Niente druidi e corna celtiche. Non c’è Bossi, non c’è Maroni. La bandiera più a destra è quella verde e nera del Kekistan, lo stato immaginario nato su 4chan, patria ideale dell’ultradestra americana. Resta qualche raro leone di San Marco. Partito alle due di notte da Verona, Aldo Muraro ne sorregge uno. «La Liga veneta è nata prima della Lega lombarda – ricorda orgoglioso – il nostro obiettivo è sempre stato l’autonomia, con vent’anni di Padania non ci siamo riusciti e adesso proviamo così». Con Di Maio? «Volete farci litigare – si inserisce Mara Bizzotto, bassanese e capogruppo della Lega nel parlamento europeo – ma è inutile, Matteo è venuto qualche giorno fa a Bruxelles e ci ha detto chiaramente che questo governo dura. Noi non lo tiriamo giù».
Quando Salvini dice dal palco «ringrazio Luigi» è l’unica volta che termina una frase senza applauso. Applaudono anche le citazioni di Martin Luther King e De Gasperi, ma soprattutto di Wojtyla nella versione «san Giovanni Paolo II che ha sconfitto il comunismo». Un’ovazione per il crocifisso e il presepe. Salvini deve coprire il fronte cattolico dopo le critiche al decreto sicurezza e non si scorda di invocare spesso «il buon dio». Dice quello che ogni peccatore vuol sentirsi dire: «I veri razzisti sono loro, quelli che vogliono svuotare l’Africa e portarceli tutti qui». Si fa campione del paese «normale». Lo aveva già detto chiaramente il dottor sottile del leghismo, Giorgetti, parlando alla folla con il tono della confessione più che del comizio: «Noi siamo gente normale con più buonsenso di quelli che pensano di sapere tutto». E Salvini in nome dell’italiano normale, 60 milioni di italiani normali, presenta un campionario di piccole immoralità, di quelle che non puoi dire razzismo: «Basta con i parcheggiatori che se non gli dai 5 euro ti bucano le gomme, con quelli che fuori al supermercato vogliono i due euro del carrello, con gli ambulanti davanti al negozio». «Ordine e rispetto», annuncia. E sì, anche «disciplina».
«Il gestore dell’unica discoteca di Certaldo – racconta in piazza Damiano Baldini, ventenne responsabile dei giovani della Lega di Empoli e provincia – è dei nostri e ci aiuta a incontrare i ragazzi, offriamo preservativi gratis e alle donne spray al peperoncino». Si ferma un attimo. «Certo, dopo quello che è successo al concerto di Sfera Ebbasta sullo spray dobbiamo riflettere. E mi sa anche sui preservativi». Il ministro Fontana ha appena parlato alla piazza: «La prima cosa, la cosa più importante, è fare più figli».
LA RICERCA DELLA NORMALITÀ di Salvini segue anche i sentieri dello strapaese. Ci prova con i cuochi, sei in abito da lavoro bianco filtrano nel muro dei sindaci in fascia tricolore. «Abbiamo il cibo migliore del mondo. Mi hanno criticato perché ho postato su twitter un piatto di bucatini con il ragù. Viva il ragù amici. Ci vogliono far mangiare schifezze». Era il ragù in barattolo di una multinazionale spagnola. Anche il sugo serve a costruire il nemico, come Pamela Anderson. Poi si torna sul classico: «Soros vuole costringerci a sognare i prodotti made in Cina. Rispondiamo con l’orgoglio italiano. L’orgoglio di questa magnifica piazza». Magnifica, ma coperta dalle pubblicità del telefono cinese. Più grandi del volto di Salvini.
«La Lega è un partito vero, un partito come prevede la Costituzione: l’anello di congiunzione tra i cittadini e lo stato». Alessando Lipera da Catania è il coordinatore giovanile per la Sicilia orientale. «Abbiamo la sede, le riunioni, il gruppo dirigente. Abbiamo rapporti con Forza Italie e Fratelli d’Italia. Non con i 5 Stelle perché non sappiamo dove siano. Vincono le elezioni ma sul territorio sono invisibili, anche volendo non sapremmo dove incontrarli». Diversi di questi giovani dirigenti stanno passando per la scuola di politica organizzata da Armando Siri. «Una lezione al mese a Milano, in una sede di Confcommercio. Ci sono politici, economisti, giornalisti», racconta un leghista veneto che sventola la bandiera «autonomia». E’ casertano di origine: «Salvini e Zaia sono d’accordo, il governo farà il decreto autonomie entro la fine dell’anno». Accanto a lui c’è Luigina, segretaria del circolo di Montebelluna. «C’è la fila di ex di Forza Italia che chiedono di entrare. Noi diciamo molti no, troppo facile saltare adesso sul carro del vincitore».
«Grazie a tutti, fratelli», si avvia alla conclusione Salvini. Non sta più citando il reverendo King, ma ricordando che «oggi è il giorno dedicato alla vergine Maria». E’ molto attento a sorridere, mostrarsi umile (si inchina) e mandare baci, non si scorda che deve farsi amare. Si concede una sorta di stage diving: via il maglione, si offre in camicia bianca alle prime e alle seconde file per foto, abbracci, strette di mano, autografi, pianti. Una cerimonia lunghissima. Lo tirano, lo stringono, gli portano i bambini. «Abbiamo cominciato una lunga marcia che nessuno potrà fermare. Crederci». E dopo Pavarotti, dopo Povia, parte anche Rino Gaetano. «Il cielo è sempre più blu» cantano felici e ballano in cerchio ragazzi e ragazze di Cuneo. Sorridenti, invitano a unirsi a loro. Hanno magliette di solidarietà con Fredy, il gommista, quello che ha sparato. E ucciso.
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