A guardarla bene, quella sulle responsabilità della strage di Bologna è una discussione interna a una sola parte politica anzi a un solo partito, il partito della presidente del Consiglio e dei suoi famigli. Ce l’aveva infatti con La Russa il comunicatore della Regione Lazio De Angelis, quando ha attaccato «le massime autorità dello stato» che hanno parlato di strage fascista. Non tanto con Mattarella, infatti ieri nella sua iperbolica retromarcia De Angelis ha reso omaggio solo al capo dello Stato. I silenzi contano, specie da quella parte.

E’ rimasta in silenzio Giorgia Meloni, che in tutta evidenza condivide le teorie di De Angelis ma adesso non può condividere che vengano esplicitate. Infatti lei, quando era il suo turno, si è limitata a non dire che a Bologna la strage è fascista. Ed è questa condivisione silenziosa che consente al comunicatore «istituzionale» di mantenere il suo incarico, non le straripanti scuse che immaginiamo anche un po’ imbarazzanti per uno che poche ore prima aveva indurito la mascella contro «chi non vale niente» perché non ha il coraggio delle sue idee. Alla fine anche lui ha dovuto concedere la rituale correzione, paradossalmente proprio quello che fa La Russa quando il giorno dopo giura sempre di non essere stato capito. Si tratti di partigiani o di stupro.

Ci sono passati dai quali non è possibile scappare, morti che afferreranno sempre i vivi e custodi della memoria che inguaieranno sempre chi prova ad allontanarsene, specie se vuole farlo di soppiatto.

Il terrorismo nero e lo stragismo fascista sono legati a doppio filo con la storia del Movimento sociale italiano che ha cullato le biografie dei protagonisti, così come trame eversive, depistaggi e neofascismo si sono alimentati a vicenda. Tra strage di stato e strage fascista non c’è alcuna contraddizione.

Questo naturalmente non vuol dire che De Angelis non abbia il diritto come tutti di mettere in discussione una o tante sentenze, fatti suoi se per tenersi l’incarico dalla granitica certezza dell’innocenza dei Nar deve ripiegare sulla «certezza di avere dubbi» che sembra proprio una battuta da Fascisti su Marte.

La verità giudiziaria non chiude ogni discorso e per sempre. Le sentenze, anche quelle definitive, si possono e si devono mettere in discussione: questo giornale lo ha fatto e lo fa abitualmente, vedi la conclusione dei processi per l’omicidio Calabresi. Di più, anche i magistrati mettono in discussione le sentenze di Cassazione, nei dibattiti e qualche volta anche nei tribunali, altrimenti – per esempio – sulla strage di via D’Amelio la giustizia avrebbe messo il timbro definitivo su un falso.

Ma nella lunga vicenda processuale della strage di Bologna che ancora dura (che poi è il vero scandalo, con responsabilità precise dei depistatori) anche chi ha avuto dubbi sugli indirizzi delle procure e li ha sollevati pubblicamente, anche a sinistra, anche su questo giornale, non ha portato argomenti contro la matrice neofascista. Un abbaglio, quello della “pista palestinese”, si è sciolto, questo sì definitivamente. E il movente nero e reazionario della strage è apparso evidente, ieri come lo è oggi.

Dopodiché un processo indiziario anche quando è lungo, anzi specie quando è lungo, resta un processo indiziario che consente a chiunque di tenersi i suoi dubbi sugli esecutori. Ma per alcuni decenni gli ostacoli ai processi, le false piste e i depistaggi hanno lavorato in loro favore, non contro. Negarlo sarebbe affermare il falso, cosi com’è falso dire che Mambro, Fioravanti e compagnia non avrebbero avuto convenienza a nascondere le loro responsabilità e ancor di più è falso sostenere che erano abituati a rivendicare le loro gesta.

Il resto è un gioco di convenienze di una destra antica che vorrebbe rivestirsi di nuovo e francamente andrebbe lasciato a loro.