È stata una giornata di mobilitazione nelle redazioni del servizio pubblico, che ha comportato un ulteriore livello di scontro contro chi questa mobilitazione ha cercato di depotenziare. Così, lo sciopero dei giornalisti Rai ha fornito la rappresentazione plastica dei tentativi di controllare l’informazione.

NE DERIVA la partita a scacchi sulle caselle dei palinsesti. Tg1 e Tg2 di metà giornata, ad esempio, sono andati in onda, mentre il Tg3 delle 12 è stato trasmesso in forma ridotta: poco più di cinque minuti. Hanno tentato, per lo più non riuscendoci, di garantire un e servizio normale i giornalisti iscritti a Unirai, sigla che tenta di rompere il monopolio della rappresentanza dei lavoratori dell’azienda pubblica, storicamente detenuto da Usigrai. Non c’erano riusciti neanche all’apice del berlusconismo, ma ci riprovano. Questa volta, il sindacato vicino alla destra, sostengono i promotori dello sciopero di ieri, ha assunto ancora di più i tratti dell’organizzazione gialla e filo-padronale (ove per padroni, in questo caso, si considerano gli azionisti di maggioranza del governo), impegnata, denunciano dall’Usigrai, a organizzare turni e straordinari per far fallire una mobilitazione ritenuta «ideologica» e «politica». Il caso più clamoroso è avvenuto in Puglia, dove il tg regionale è andato in onda, spiega il coordinamento dei comitati di redazione, «nonostante il fatto che la stragrande maggioranza dei colleghi abbia aderito alla protesta e l’assemblea di redazione abbia espresso a larghissima maggioranza (con 18 voti favorevoli e soltanto uno contrario) la volontà di aderire alla mobilitazione». Presso le testate regionali, fanno sapere dal sindacato, l’adesione ha superato l’80%.

IN OGNI CASO, i conduttori dei tg hanno letto le motivazioni dello sciopero e la replica della Rai. I giornalisti spiegano che l’astensione dal lavoro serve a «difendere l’autonomia e l’indipendenza del servizio pubblico radiotelevisivo dal controllo pervasivo degli spazi di informazione da parte della politica». «Continueremo a batterci per assicurare a voi telespettatori il diritto a essere informati in modo equilibrato, affidabile e plurale – spiegano dal sindacato – Saremo sempre dalla parte dei cittadini a cui appartiene la Rai». Nel comunicato diramato nelle edizioni serali dei tg si parla esplicitamente del «tentativo di boicottaggio della protesta». L’azienda risponde sostenendo di essere «impegnata a salvaguardare i valori del pluralismo e della libertà d’espressione».

«DOPO LE NOTIZIE false, le campagne denigratorie sugli avversari politici e le censure, Telemeloni nega anche il diritto allo sciopero, un principio costituzionale con la complicità dei vertici aziendali su precisi input politici» dice la segretaria del Pd Elly Schlein. «Si rassegni – le replicano i componenti di Fdi in commissione di vigilanza – in Rai ormai c’è il pluralismo. Il tempo in cui la sinistra considerava questa azienda una proprietà privata è finito».

«PUR DI TENTARE di boicottare lo sciopero a cui ha aderito la stragrande maggioranza dei giornalisti Rai – spiegano da Usigrai – I direttori di Tg1 e Tg2 con spirito antisindacale hanno deciso di mandare in onda le edizioni delle 13.30 e delle 13 con servizi e collegamenti insolitamente lunghi per raggiungere la maggior durata possibile (comunque inferiore a quella consueta)». In mattinata, a spiegare le motivazioni dello sciopero, alla stampa estera c’erano il segretario Usigrai Daniele Macheda e quello della Fnsi Vittorio Di Trapani, insieme a diversi giornalisti in sciopero. Diventa uno sfogatoio dalle redazioni sulle veline e le scelte puramente propagandistiche imposte dai vertici. Macheda sostiene la necessità di una legge ad hoc sulla governance di viale Mazzini. «Forse ci aiuterà il Media Freedom Act – auspica – Il regolamento europeo dice chiaramente che i servizi pubblici non devono avere il controllo dei governi». Al contrario, sostiene, oggi c’è «un sistema pervasivo» fino a lamentare «un problema di libertà di stampa e dell’assetto informativo in Italia». Di Trapani parla di «clima orbaniano»: «Per tutti gli osservatori internazionali, non ultimo Reporters senza frontiere, l’Italia è entrata nella zona problematica, siamo in compagnia dell’Ungheria» scandisce il presidente della Fnsi.