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La desolazione della «pandemia» da pandemia

Una sede della Naacp in Georgia (Usa) durante la pandemia, foto ApUna sede della Naacp in Georgia (Usa) durante la pandemia. – Ap

Fuori fase In questo polverone di inutile fracasso e di pseudo dibattito si finge di ignorare la vera questione in campo: l’esaurimento di questo modello di sviluppo e di società fondata su valori fradici e tossici

Pubblicato circa 4 anni faEdizione del 28 ottobre 2020

Lo scenario che in questi giorni si presenta davanti allo sguardo di qualsiasi persona abbia attivato il dono dell’intelligenza, di cui ogni essere umano è stato teoricamente dotato dal buon dio o dal sublime caso a seconda dei punti di vista, è desolante.

Ma la desolazione, dipende solo in parte dal Covid.
Certo esso colpisce gli esseri umani che periscono per causa sua e i loro cari, condiziona le relazioni sociali di prossimità, deprime le attività lavorative e professionali, affligge, come sempre gli ultimi, favorisce sconciamente le economie virtuali, i carrozzoni mediatici, i giganti del web, mortifica le imprese dell’economia reale soprattutto le più piccole. Ma una pandemia non avvertita come tale è generata dall’occorrenza della prima, l’incontenibile rigurgito della cosiddetta informazione dei grandi media. Essa ha assunto una dimensione ipertrofica e pletorica e nel suo carattere alluvionale impedisce qualsiasi profondità, prospettiva e capacità critica, si nutre della permanente emergenza e destituisce di forza qualsivoglia fonte di autentica autorevolezza.

Persino i competenti e gli esperti, nella fattispecie i virologi e gli epidemiologi, attratti dalla chimera di un’inattesa stardom mediatica si ritrovano a interpretare ruoli nel teatrino virtuale e finiscono con il divenire figurette di uno spettacolo penoso. La classe Politica e quella giornalistica dal canto loro si muovono in base ad interessi predeterminati e confliggono attraverso un interminabile litigio retorico mirante solo a servire gli interessi di caciccati partitici o delle lobby dei grandi interessi, come quello delle super imprese sulla cui vocazione e sul cui amore patrio è meglio stendere un velo pietoso.

In questo contesto di allarmante mediocrità, il governo Conte pur con tutte le sue défaillance e i suoi errori mostra una singolare tenuta rispetto alla protervia e alle farneticazione delle opposizioni che se fossero al governo provocherebbero assembramenti mai visti al confine elvetico perché molti italiani sceglierebbero di trascorrere la quarantena nella patria di Guglielmo Tell, nonostante sia diventata da poco un nuovo focolaio d’infezione. Il tragicomico caso Fontana-Gallera docet e per amore di equità, emulato dalle esilaranti/grottesche performance del cacicco campano De Luca. Con l’occasione mi permetto di esigere da politici, da giornalisti e conduttori radio-televisivi di cessare con il malcostume di parlare degli italiani come un unicum, come un “popolo” che non sono, non sono mai stati e dubito che mai saranno.

Personalmente come italiano dalla nascita rifiuto di essere omologato agli adepti degli happy hour, degli apericena, delle movide, delle discoteche, delle vacanze a tutti i costi, mentre infelici esseri umani muoiono senza la vicinanza dei loro cari e medici e infermieri rischiano salute e vita con turni massacranti e minimi corrispettivi. In questo polverone di inutile fracasso e di pseudo dibattito si finge di ignorare la vera questione in campo: l’esaurimento di questo modello di sviluppo e di società fondata su valori fradici e tossici: patologia consumista, sottocultura del privilegio, spreco, diseguaglianze criminali, sperequazioni ingiustificabili, economia di morte, olocausto di milioni e milioni di animali con sadica ferocia, avvelenamento dell’habitat, nuove forme di schiavismo, spoliazione del pianeta, come magistralmente e potentemente illustrato da papa Francesco nelle sue recenti encicliche, «Laudato si’» e «Fratelli tutti».

Ma non è solo Bergoglio, attualmente unica autorità morale planetaria, a indicare il cammino, già cinque anni fa, uno dei più grandi imprenditori del mondo, Bill Gates, non certo un sovversivo comunista, segnalava, in un discorso ampiamente diffuso sulla rete, che non una guerra, ma un virus ad alto potenziale infettivo avrebbe messo in ginocchio l’umanità e causato la morte di milioni di esseri umani.

Il magnate spiegava con grande chiarezza che il rimedio principe doveva essere il potenziamento straordinario e articolato delle strutture sanitarie.

Prendendo spunto dalle sue parole, ritengo che l’agenda dei governi debba essere rivoluzionata cambiando radicalmente l’ordine delle priorità per porre al primo posto lo Stato Sociale, la Sanità Pubblica, l’Istruzione e la Cultura con massicci investimenti e reperire le risorse disinvestendo dal settore militare e quello delle armi in genere.

Quanto alla cultura è arrivata l’ora di cessare di considerarla un’ accessorio per il tempo libero, ma trattarla per ciò che è: il fondamento del senso primo del vivere per l’edificazione di una società libera e colta che si sviluppi nella pace e nella prosperità economica perché sapendo quello che fa, fa quello che deve. Si decuplichi dunque l’investimento in questo settore decisivo per la vita, adesso e senza tergiversare.

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