Cultura

La deriva della giustizia in un paradigma moralizzante

La deriva della giustizia in un paradigma moralizzante

Indagini «Il malinteso della vittima» di Tamar Pitch, per le Edizioni Gruppo Abelez. La vittima potenziale o effettiva di un delitto diviene l’arma a disposizione di un pezzo di mondo politico il quale, disprezzando ogni ipotesi di società inclusiva, solidale e welfaristica, affida le sorti del proprio consenso a politiche di sicurezza e repressive che vadano a sostituire le più tradizionali politiche sociali

Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 7 ottobre 2022

Siamo tutti vittime? A questa domanda Tamar Pitch prova a dare risposte razionali, articolate e profonde nel suo ultimo libro (Il malinteso della vittima, Edizioni Gruppo Abele, pp. 112, euro 14). «Il protagonismo della e delle vittime all’interno della giustizia penale indica una tendenza alla privatizzazione (e moralizzazione) della giustizia penale stessa». Il diritto penale dovrebbe svolgere ben altra funzione, ossia anestetizzare il rischio del ritorno alla vendetta privata, affidando allo Stato la risposta punitiva. Il paradigma vittimario, invece, tende a mettere al centro delle politiche di sicurezza, penali e penitenziarie la vittima.

IN SUO NOME si trasformano le città in luoghi video-sorvegliati, si riducono le garanzie, si aumentano le pene, si negano le misure alternative alla detenzione. Non di rado accade nelle prassi dei tribunali di sorveglianza che si neghino provvedimenti di liberazione condizionale o di affidamento ai servizi sociali in quanto il detenuto non si sarebbe adoperato per risarcire o chiedere scusa alla vittima.

La vittima potenziale o effettiva di un delitto diviene dunque l’arma a disposizione di un pezzo di mondo politico il quale, disprezzando ogni ipotesi di società inclusiva, solidale e welfaristica, affida le sorti del proprio consenso a politiche di sicurezza e repressive che vadano a sostituire le più tradizionali politiche sociali.

Tamar Pitch ci ricorda come un tempo venisse diversamente declinata, in particolare nel mondo progressista e democratico, la parola sicurezza. Esistevano nelle realtà territoriali del nostro Paese, ad esempio, gli assessorati alla sicurezza sociale. Essi sono stati progressivamente sostituiti da giunte di destra e di sinistra dagli assessorati alla sicurezza, senza ulteriori aggettivazioni.

Negli ultimi tre decenni abbiamo subito la retorica della «tolleranza zero». Tutto più o meno iniziò con le politiche di Rudolph Giuliani nella New York della metà degli anni Novanta del secolo scorso. Tolleranza zero verso i poveri, i tossicodipendenti, i neri, contro chiunque vivesse ai margini della società. La criminalità di strada è stata a lungo al centro di tante campagne elettorali, al di là e al di qua dell’oceano. Il tutto per assicurare decoro (parola molto cara all’autrice che l’ha destrutturata in un altro suo bellissimo libro) e benessere alla componente ricca e borghese della società, che avrebbe potuto essere potenzialmente vittima di aggressioni di strada.

LA SICUREZZA, ci ammonisce l’autrice, ha perso quel significato che aveva in epoca illuministica in Beccaria e Montesquieu, ossia sicurezza individuale dagli arbitrii del potere sovrano. Per Tamar Pitch il sistema penale è selettivo sulla base del censo, della nazionalità, dello status sociale delle persone colpite. È sufficiente andare in visita in un carcere metropolitano per rendersi conto di chi affolla le nostre prigioni: i soliti noti che sembrano riportarci al titolo di uno straordinario disco di Tom Waits del 2006: Orphans: Brawlers, Bawlers & Bastards. Passando di canzone in canzone, con un riferimento a Gold Watch Blues di Donovan si apre il primo capitolo del libro dedicato allo scenario di riferimento. Nel testo c’è un colloquio di lavoro tra il padrone e un suo aspirante lavoratore. Si desume quale fosse la normalità a quei tempi, ossia il lavoro a tempo indeterminato.

Oggi, nell’era della precarietà lavorativa, proprio per immunizzare il potere dai rischi del conflitto sociale, le politiche dalla sicurezza non sono pensate per proteggere dalla precarizzazione delle vite ma soltanto dai rischi di diventare vittime di crimini di strada. Una scelta semplificata, truce, reazionaria frutto dei tempi che stiamo subendo. Tamar Pitch ne offre un quadro allarmato e nitido.

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