La deriva che vuole anestetizzare la libertà
Scaffale «Democrazia afascista» di Nadia Urbinati e Gabriele Pedullà, edito da Feltrinelli. Le radici storiche e l’approdo attuale di una minaccia
Scaffale «Democrazia afascista» di Nadia Urbinati e Gabriele Pedullà, edito da Feltrinelli. Le radici storiche e l’approdo attuale di una minaccia
Il variegato universo in espansione delle nuove destre inquieta e pone interrogativi su genealogie e trasformazioni. In un dibattito internazionale sempre più ricco si inserisce il libro di Gabriele Pedullà e Nadia Urbinati, Democrazia afascista (Feltrinelli, pp. 160, euro 17). Gli autori denunciano la degenerazione della democrazia italiana all’interno di un processo di cui tracciano un profilo globale.
LA SCELTA DI RECUPERARE la parola «afascismo», ripercorrendone il percorso storico-etimologico, per poi risemantizzarla alla luce del presente sarebbe già di per sé un esercizio raffinato. Ma il taglio ermeneutico emerge fin dalle prime righe in cui si introduce la categoria che sarà sviluppata nel libro: «La democrazia afascista – una forma di autocrazia elettiva – è un fenomeno recente e in qualche modo inedito, anche se la sua avanzata è cominciata già parecchio tempo fa. Oggi la sua ascesa è particolarmente evidente in Italia, dove il fascismo è nato, ma dove, soprattutto, gli elettori hanno per la prima volta consegnato il governo del paese a un partito che è il diretto erede delle varie formazioni politiche apertamente nostalgiche del Ventennio».
Nella variante italiana del più generale arretramento della democrazia l’attacco alla Costituzione del 1948 costituisce un asse strategico decisivo. Il testo costituzionale, del resto, non si limita a sancire le principali libertà del cittadino, ma richiede alla Repubblica di promuovere «il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione» (art. 3). In questo quadro la Carta individua il proprio alter nel fascismo e nei suoi principi. Attaccarne l’essenza antifascista significa dunque minarne le fondamenta, non solo allo scopo di ripensare il passato da destra, ma con una finalità politica.
Qui entra in gioco l’«afascismo», di cui si rintraccia l’origine sin dagli anni Venti, ad opera dello stesso Mussolini. Si ripercorrono i successivi cambiamenti di significato già durante il regime per arrivare alla Costituente, quando il termine viene utilizzato dal liberale monarchico Roberto Lucifero.
UN PASSAGGIO ULTERIORE è rappresentato dal modo in cui l’«afascismo» viene rilanciato da Giuseppe Berto contro il mondo intellettuale di sinistra, accusato di usare l’antifascismo in modo retorico e altrettanto violento della sua nemesi. Questa impostazione del discorso, se vogliamo «anti-antifascista», che ha avuto una certa fortuna negli ambienti della destra (missina e non solo), si ritrova tutt’oggi nella lettera di Meloni al Corriere della sera per il 25 aprile 2023. La Presidente del Consiglio accusa i suoi critici di «usare l’antifascismo come strumento di delegittimazione di qualsiasi avversario politico». Da qui il passo è breve e si arriva a considerare gli antifascisti come dei nemici della democrazia e la Costituzione come un manufatto da correggere.
A questo proposito gli autori chiamano in causa la direttrice internazionale, di cui uno snodo è rintracciato nel rapporto della Commissione Trilaterale del 1975, in cui si denuncia la crisi della democrazia, a causa dei conflitti prodotti dai movimenti sociali di protesta. Vengono quindi seguite le evoluzioni di questa concezione tra i liberaldemocratici nel contesto della Guerra fredda e nell’edificazione del post-’89.
La conclusione rivela una sostanziale coincidenza, nel discorso della nuova destra, tra il progetto liberal-conservatore di una «democrazia decidente», che garantisca la «governabilità» rafforzando l’esecutivo, e la richiesta di deformare la Costituzione antifascista, spogliandola dalla sua aggettivazione conflittuale. Non più il linguaggio autoritario fascista, ma quello «funzionalistico moderno» sembra sorreggere un disegno regressivo che mira a garantire una società pacificata, anche con la forza, che smantella la politica sociale e scoraggia la partecipazione. La nuova destra non pensa e opera in chiave pluralista, ma populista, avaloriale e notabiliare. Una concezione, che ha trovato consensi anche a sinistra, riuscendo ad affermarsi, come accaduto con il fascismo, più per i demeriti della controparte che per la propria capacità.
UN’AFFERMAZIONE, quest’ultima, che rischia forse di sottovalutare le potenzialità attrattive della proposta «nazional-populista» scaturita dall’intreccio tra neoliberismo e crisi dell’immaginario democratico europeo. Ulteriori approfondimenti arrivano dall’ultimo libro di Andrea Martini, Fascismo immaginario. Riscrivere il passato a destra (Laterza), che ha ricostruito la produzione storico-letteraria fascista nell’Italia dopo il 1945. E da quello di Luciano Cheles, Iconografia della destra. La propaganda figurativa da Almirante a Meloni (Viella), che ha analizzato l’evoluzione della propaganda figurativa della destra dal 1946 a oggi. Un cantiere intellettualmente vivace alla ricerca di risposte a una crisi ormai di lungo corso.
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento