La scomparsa del principe ereditario saudita Mohammad bin Salman dalla lista degli ospiti del G7 è avvenuta in sordina, a ridosso dell’inizio del vertice: l’11 giugno. In serata, bin Salman si è scusato con Meloni su Twitter sostenendo di dover «supervisionare» i preparativi per l’Hajj, il pellegrinaggio alla Mecca. Ma ne sono sicuri all’organizzazione No Peace WithoutJustice : non si è presentato perché contro di lui era stata depositata una denuncia alla Procura di Roma per l’omicidio e lo smembramento del giornalista saudita del Washington Post Jamal Khashoggi, avvenuto nell’ottobre 2018 all’interno dell’ambasciata di Riyadh a Istanbul. A ricostruire gli avvenimenti, nel corso di una conferenza stampa vicino al Media Centre del G7 a Bari, sono il segretario generale di Njwp Niccolo Figà Talamanca, l’avvocato che si è occupato del caso Fabio Maria Galiani e la stessa presidente dell’associazione Tara O’Grady.

«QUANDO ABBIAMO saputo della partecipazione di bin Salman al vertice (e della sua intenzione di fare vacanze in Toscana), una decina di giorni fa – racconta Talamanca -, abbiamo deciso di lanciare la nostra iniziativa». Che raccoglie l’appello della compagna di Khashoggi Hatice Cengiz a «non lasciare che l’impunità venga normalizzata». Il come lo spiega l’avvocato Galiani: in base alla Convenzione sulla tortura, ratificata dall’Italia nel 1988, e alla legge del 2017 che ha finalmente introdotto anche in Italia il reato di tortura, «è esclusa l’immunità di capi di stato, governo e ministri degli esteri» e l’Italia «ha giurisdizione anche in caso di crimini commessi da stranieri contro stranieri, all’estero, nel momento in cui gli accusati si trovano su suolo italiano».

Il quattro giugno, continua, «abbiamo depositato in procura la richiesta di arrestare bin Salman non appena fosse atterrato in Italia. Al sette giugno la richiesta appariva registrata». E appena quattro giorni dopo il ritiro della partecipazione di bin Salman. Che, secondo Njwp (l’associazione che nel 2022 fu inquisita e poi scagionata nell’ambito di Qatargate), apre anche altre domande: considerato che la denuncia è coperta dal segreto istruttorio «può qualcuno avere informato il principe ereditario della denuncia pendente contro di lui, e chi?».

PERFINO in una spy story risulterebbe implausibile una sequenza in cui una squadra della polizia di Stato accoglie Mohammad bin Salman sulla pista d’atterraggio del suo aereo, gli mette le manette ai polsi e lo conduce a Rebibbia a sirene spiegate. Ma certo per il principe saudita sarebbe spiacevole vedersi anche solo recapitare l’avviso di una qualunque azione penale, oltre a essere imbarazzante per il paese ospite del G7 nel giorno dell’apertura dei lavori. D’altronde, non è neanche difficile immaginare – volendo fare ipotesi sul “composto” ritiro dal vertice di bin Salman – come i tanti leader del gruppo che dovranno a breve affrontare le elezioni (a partire da Joe Biden) non facessero i salti di gioia all’idea di essere immortalati mentre stringono la mano sorridenti a uno dei leader più sanguinari al mondo, sullo sfondo dei secolari ulivi di Borgo Egnazia.

Ma è anche vero, osserva Galiani, che «non è una cosa da poco per l’Arabia Saudita rinunciare al G7». O’Grady ricorda infatti come le operazioni di pubbliche relazioni per ripulire la propria immagine siano oggetto di investimenti milionari da parte del Regno del Golfo.  «Se torna in Italia, presenteremo una nuova denuncia», promette l’avvocato.

«Di fronte ai potenti del mondo – chiosa Talamanca – chiediamo il rispetto perlomeno delle proprie stesse regole. Non c’è un permesso speciale per fare a pezzi le persone perché sei il principe saudita».