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La democrazia e l’hybris del realismo bio-politico

Verità nascoste L’interesse collettivo concentrato sulle condizioni puramente biologiche dell’esistenza, sempre più dissociate dalla possibilità di una vita degna di essere vissuta, impone il realismo bio-politico: un attacco selvaggio al nostro rapporto con la realtà

Pubblicato circa 6 anni faEdizione del 27 ottobre 2018

La democrazia è indissociabile dalla sanzione dell’hubris. Non è compatibile con l’autoreferenzialità, con il calpestare l’interesse dell’altro nel proprio agire, con l’affermazione del privilegio di pochi nei confronti del bene di tutti. Chi viola questa condizione fondante della vita democratica, va punito: messo nella condizione di non poter reiterare il suo gesto. La punizione non deve eccedere, non può diventare, a sua volta, un’hubris. Deve eliminare un pericolo, non le spetta creare una situazione nuova.

Il principio è chiaro, la sua applicazione è complessa. Le valutazioni sono difficili e il loro equilibrio può scivolare nell’arbitrio. Spesso il compromesso tra ciò che sarebbe giusto e ciò che non lo è, si sostituisce in gradi variabili all’etica politica, al senso di responsabilità dei cittadini. Se il «realismo» – salvare il salvabile – può apparire come necessità, il suo dominio, sintomo di una grande vulnerabilità della città, è un segnale inquietante per l’avvenire. Soprattutto se a contendere il destino della civiltà democratica sono degli opposti «realismi», il sovranismo populista e l’austerità senza progettualità, che, apparentemente divergenti, convergono, in realtà, nel minarladalle fondamenta.

Che la democrazia, caduta nelle grinfie delle istanze «realistiche», non sia in stato di buona salute, lo testimonia il dibattito politico tutto assorbito dai parametri di mercato. Essi, a partire dallo «spread», hanno oltrepassato di gran lunga la loro funzione di regolatori degli scambi economici e, indipendenti da tempo da ogni loro definizione politica, stanno invadendo il campo dei valori civili. La posta in gioco reale non è se rispettarli sul piano della manovra di bilancio o infischiarsene (scelte che potrebbero essere egualmente controproducenti), ma se dobbiamo assumerli come categorie politico-esistenziali.

Tra gli schieramenti politici lo scontro appare quasi surreale. A coloro che vedono lo spread basso come garanzia di stabilità e di civiltà, si oppongono quelli che lo considerano un ricatto che costringe i cittadini a una condizione di non dignità. Gli uni e gli altri scambiano la stabilità, la civiltà e la dignità con l’appagamento dei bisogni del corpo. Perfino il conflitto etico sui migranti e sui diritti umani, tende a polarizzarsi, di fatto, sulle condizioni materiali. Vivere in condizioni in cui non si soffre la fame dovrebbe essere la premessa logistica dell’esistenza di tutta l’umanità, non un punto d’arrivo da barattare, senza neppure esserne consapevoli, con la deprivazione erotica, affettiva e culturale.

Ci è difficile riconoscere fino a che punto i nostri valori politici siano regrediti, anche a causa della secolare indifferenza dell’Occidente nei confronti della vita materiale del resto dell’umanità, che con la globalizzazione entra in gioco sconvolgendo i nostri equilibri.

L’interesse collettivo concentrato sulle condizioni puramente biologiche dell’esistenza, sempre più dissociate dalla possibilità di una vita degna di essere vissuta, impone il realismo bio-politico: un attacco selvaggio al nostro rapporto con la realtà, che già sta distruggendo, in nome della sopravvivenza fisica, la nostra dimora nel mondo, la natura. Il realismo bio-politico è schizofrenico, costituendosi come regola che non ammette critica e eccezioni viola lo spazio della convivenza comune.

Per la democrazia questa forma/regola psicotica del vivere è un’hubris mortale che, sfuggita alla punizione, è fuori dalla sua giurisdizione. Con essa nessun compromesso è possibile, se non a suo favore. La si deve combattere con una nostra profonda trasformazione.

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