Siamo alla vigilia del referendum. Un voto il cui esito sembrava scontato, con tutti i principali partiti schierati formalmente per il Si, ma che con l’avvicinarsi dell’appuntamento si è fatto più incerto, grazie a quanti in queste settimane si sono mobilitati e impegnati per sostenere e spiegare le ragioni del No.

L’Arci è tra loro. «La democrazia è la cura» sono le parole che abbiamo scelto per il No al referendum, un No convinto che ci ha portato nelle ultime settimane ad organizzare eventi e a manifestare in piazza. La prima ragione è quella di difendere la Costituzione da una modifica che diminuirà pericolosamente la rappresentanza, non colpendo i politici incapaci ma il Parlamento. Il risultato sarà quello di tagliare fuori dalla rappresentanza democratica territori e istanze, di andare verso una politica per pochi e per pochi partiti.

Il taglio del 36,5% dei parlamentari, che passerebbero da 945 a 600, per un totale di 400 deputati (oggi sono 630) e di 200 senatori (al momento 315), è infatti una semplificazione demagogica, che non migliorerà l’efficienza e la qualità delle istituzioni e della rappresentanza politica dal momento che agisce solo su aspetti quantitativi. Meglio più rappresentanza anziché meno, interroghiamoci piuttosto sulla qualità e su come migliorarla.

Un’altra ragione del No dell’Arci è perché quella che viene proposta dal referendum ci appare una scorciatoia rischiosa, non accompagnata da una visione di riforma organica, a partire dalla legge elettorale, e che non affronta temi centrali come il ruolo del Parlamento, la selezione dei candidati, i costi e il finanziamento della politica.

Una riforma populista per farla pagare alla cosiddetta ‘casta’, che non corregge le vere cause della crisi del rapporto tra cittadini e istituzioni ma che ne aumenterà la distanza, accentuando ancora di più il leaderismo politico, la personificazione dei partiti e l’indebolimento degli elementi di collettività nella proposta politica. Una riforma in contrasto con l’articolo 49 della Costituzione secondo il quale «tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale».

Ci sono poi due bugie da smentire. La prima riguarda i risparmi (pochi) che deriverebbero dal taglio dei parlamentari, una motivazione inconsistente per un risultato che si potrebbe ottenere senza diminuire gli eletti. L’altra è sul numero dei nostri parlamentari, che non sono certo troppi. Il confronto europeo non lascia dubbi, l’Italia ha un rapporto eletti/elettori in linea con i grandi Paesi europei. Ma tutto questo fa parte della confusione che si è generata sui contenuti del referendum, passati in secondo piano dopo la scelta, sbagliata, di legare il voto sulla modifica della Costituzione a quello delle elezioni regionali e ad una campagna elettorale che si è trasformata in un test sul governo.

Per questo il 20 e 21 settembre diremo No, perché crediamo sbagliato un taglio così significativo della rappresentanza parlamentare nel nostro Paese che, come detto, non migliorerà l’efficienza delle istituzioni, non interverrà sulla qualità degli eletti e produrrà risparmi discutibili. Farebbe invece dell’Italia un unicum in tutta Europa, accentuando le debolezze di un sistema che ha bisogno di cura e di una profonda revisione, non certo di scorciatoie. La democrazia è la cura, e per questo l’Arci invita a votare No al referendum.

*Presidente nazionale Arci