La deflazione si mangia l’Italia
In crisi Crescita negativa dei prezzi nelle principali città: frutto di consumi ormai bloccati e di un’economia che non riparte. Rischiamo di perdere il controllo del debito pubblico. La Bce di Draghi tenta da anni di fronteggiare questo nodo, ma senza risultati
In crisi Crescita negativa dei prezzi nelle principali città: frutto di consumi ormai bloccati e di un’economia che non riparte. Rischiamo di perdere il controllo del debito pubblico. La Bce di Draghi tenta da anni di fronteggiare questo nodo, ma senza risultati
E così è arrivata. La deflazione, la bestia nera del governatore della Bce, Mario Draghi, vive tra noi. Nelle nostre città – le principali del nostro Paese, ha registrato ieri l’Istat – “mangiandosi” intere regioni che di solito trainano l’economia, come il Piemonte, la Lombardia, il Veneto, il Friuli Venezia Giulia. E giù fino alla Toscana, al Lazio, alla Puglia.
I prezzi hanno dunque un trend negativo (siamo al contrario dell’inflazione, quando il costo della vita, il valore di beni e i servizi aumenta). Un dato positivo, si potrebbe pensare se guardiamo al nostro portafoglio, impoverito da anni di tagli ai salari e al welfare, frutto di contratti che non si rinnovano, svuotato dalla precarietà, la cassa integrazione, la disoccupazione. Ma purtroppo non è così: perché la deflazione è segnale di consumi che non vanno, di un’economia che si è fermata, di un debito che cresce a dismisura rispetto al Pil: e quindi può essere, purtroppo, l’anticamera di nuovi tagli decisi dalla politica (italiana e Ue).
Guardiamo i dati: l’inflazione a luglio si è attestata a un +0,1%, in calo rispetto a giugno (era +0,3%). È la cifra più bassa dall’agosto del 2009. Ma andando al dato congiunturale, vediamo una discesa: -0,1%. Che è frutto di cali, anche parecchio vistosi, in diverse città italiane. L’inflazione acquisita per il 2014 è stabile allo 0,3%
La diminuzione congiunturale più alta è quella di Firenze (-0,7%); seguono Roma e Torino con -0,5%; poi Milano (-0,3%). E ancora Palermo, Catanzaro e Potenza (-0,2%). Per finire con Genova, Trieste e Bari (-0,1%). Pesanti, in queste città, anche i dati tendenziali (il calo calcolato su un anno).
Ma la deflazione abbraccia, come abbiamo anticipato, intere regioni e macro aree, quelle che di solito sono le più produttive e dinamiche del Paese: giù Piemonte (-0,2%) e Lombardia (-0,1%), con un Nord Ovest a bilancio negativo (-0,1%); giù Veneto (-0,3%) e Friuli Venezia Giulia (-0,2%), con il Nord Est a crescita piatta (0%).
La Toscana perde lo 0,2%, il Lazio lo 0,1%, e anche il Centro segna crescita zero dei prezzi. Crescono al contrario il Sud (+0,4%) e le Isole (+0,7%).
A far frenare la dinamica dell’inflazione, ci informa l’Istat, è stato principalmente «l’ampliarsi della flessione su base annua dei prezzi degli energetici regolamentati». Basti pensare che il gas naturale è sceso del 5,4% su giugno e dell’11,2% in termini tendenziali (la flessione più forte dal marzo del 2010).
D’altra parte, proprio a luglio l’Autorità per l’Energia ha deciso le nuove tariffe, riducendo il prezzo del gas. Quanto all’indice armonizzato dei prezzi al consumo per i Paesi dell’Unione europea (Ipca, utilizzato ad esempio per i rinnovi contrattuali), diminuisce del 2,1% su base mensile, soprattutto a causa dei saldi estivi, mentre risulta azzerato su base annua (era +0,2% a giugno).
Tutti a comprare, quindi, visto che i prezzi si sono abbassati? Forse è un discorso che si può fare per i beni non durevoli – come ad esempio gli alimentari – ma pensiamo ad esempio a un’auto, ancor più se usata: chi sa che i prezzi tendenzialmente sono in fase di decrescita, rallenta i propri acquisti, aspettando una stagione migliore, quando sa insomma che il bene che acquista oggi non perderà valore domani.
Ma il rischio maggiore, a questo punto, è per i Paesi con alto debito, come l’Italia. A contare, come si sa, è il rapporto debito/Pil, dove il debito fa da numeratore e il Pil da denominatore. Se il secondo non cresce in termini reali, almeno in genere lo fa in termini nominali (calcolando cioè l’inflazione): ma in caso di crescita piatta sia dell’economia che dei prezzi (come praticamente siamo in Italia), il fattore debito cresce a dismisura, creando quindi un problema per i conti pubblici.
Non a caso la Bce di Draghi segnala come pericolo la deflazione, soprattutto per i Paesi ad alto debito, e indica come crescita ideale dei prezzi il 2%: traguardo che come vediamo si allontana. Ma per ora lo stesso Draghi non ha saputo intervenire efficacemente.
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