Economia

La deflazione, il gelo che attanaglia l’Europa

La deflazione, il gelo che attanaglia l’Europa

L'analisi Particolarmente basso il dato dell'aumento dei prezzi in Italia: solo lo 0,1% nel 2015. Il Qe lanciato dalla Bce di Draghi non basta, e i governi non fanno politica economica

Pubblicato quasi 9 anni faEdizione del 7 gennaio 2016

L’inflazione ha sempre lo stesso segno da ormai 3 anni: rimane stabilmente più bassa dall’obiettivo del 2% indicato dalla Bce. Per il terzo anno consecutivo l’Italia manifesta un’inflazione quasi negativa (0,1% nel 2015, contro lo 0,2% del 2014), mentre in Europa è a 0,4%, ma comunque con un andamento negativo che preoccupa tanto gli economisti quanto il presidente della Bce. La stessa “classificazione” dell’inflazione riflette la profondità della crisi europea e italiana in particolare: da una parte la crescita dei prezzi dei servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona, dall’altra la riduzione dei prezzi dei beni energetici.

Sostanzialmente il paese e l’Europa sono in piena deflazione e non è una buona notizia. Per decenni in Europa la parola più usata è stata inflazione, ma fin dall’avvio dell’Unione europea (1992) il rischio principale delle politiche economiche europee era la deflazione. Se tagliamo spesa pubblica e salari per troppo tempo, prima o poi la domanda interna si contrae.

Per un certo periodo di tempo è possibile sostituire la domanda interna con le esportazioni, ma se il sistema economico mondiale cade in recessione e vi rimane per troppo tempo (siamo, di fatto, in crisi dal 2007) allora la deflazione compromette la sostenibilità del sistema economico e produttivo. Infatti, la contrazione della domanda interna costringe le imprese a ridurre i prezzi dei propri beni e servizi, ma oltre un certo livello non può ridurre i prezzi. Se il prezzo di un bene o un servizio non copre almeno i costi fissi, l’impresa è costretta a chiudere gli impianti.

La domanda interna è stata così profondamente compromessa che le imprese sono state costrette a ridurre i prezzi ben oltre il livello della sostenibilità per vendere la produzione. Per un certo periodo possono anche vendere i beni al solo prezzo del costo dei fattori, ma non per troppo tempo. Infatti, le imprese non solo devono realizzare un profitto, ma devono anche restituire gli interessi sul debito contratto con le banche, assieme a una parte del capitale preso a prestito. Se i prezzi continuano a contrarsi, non solo le imprese non fanno profitto, ma indeboliscono la propria posizione finanziaria e, come è accaduto in Italia e in altri paesi europei, sono costrette a chiudere. Per questo la deflazione è un male ben peggiore dell’inflazione: distrugge produzione, lavoro e, alla fine, compromette la stabilità finanziaria del sistemo economico.

Una parte dei debiti incagliati delle banche, le cosiddette «sofferenze», pari a quasi 300 miliardi di euro, è figlia di questa e paradossale situazione. La Ue e alcuni paesi in particolare hanno fondato la crescita sulle esportazioni, ma venuta meno questa possibilità, la domanda interna era ed è inadeguata. Per questo il Qe (quantitave easing) lanciato dalla Bce non ha prodotto nessun effetto positivo sul sistema economico e sul livello generale dei prezzi.

Quello che l’Europa si ostina a rimuovere dalla sua discussione politica ed economica è l’effetto depressivo delle politiche deflattive. Infatti, la deflazione innesca un circolo vizioso che si autoalimenta e alla lunga fa male a tutti: i prezzi in calo generano un’aspettativa di ulteriori cali futuri dei prezzi, questo porta i singoli individui a posticipare gli acquisti, sia per ragioni opportunistiche (se aspetto costerà meno), sia per ragioni oggettive legate al livello di reddito disponibile dopo i tagli dei salari e della spesa pubblica, e la somma di queste aspettative generali comportano una diminuzione generale dei consumi, generando un avvitamento dell’economia che brucia ricchezza, reddito e base produttiva. Uno scenario spaventoso di cui pochi sembrano preoccuparsi. Il calo dei consumi determina una contrazione dei margini e dei fatturati delle imprese, fino a non escludere la chiusura degli impianti. A questo punto abbiamo nuovi disoccupati che non avranno più un reddito da spendere in consumi dando così nuovo “carburante” al processo di distruzione dell’economia.

Ma anche il debito risente negativamente della deflazione. Se svalutando la moneta l’inflazione aiuta i debitori a rimborsare i loro debiti andando a diminuire in termini reali il valore da rimborsare, se l’inflazione è troppo bassa o addirittura negativa, la situazione diventa insostenibile per i debitori che devono rimborsare capitali più pesanti in termini reali senza nessuno “sconto da inflazione” sul tasso di interesse e in un clima di depressione economica per il circolo vizioso che abbiamo descritto sopra. Alla lunga anche questa situazione è pericolosa per i creditori che rischiano di non recuperare i loro soldi da debitori diventati sostanzialmente insolventi.

L’Europa ha creato e sostenuto queste politiche. La Germania ha fatto di tutto per avere un vantaggio da tutto questo, riuscendoci in parte, ma la crisi economica non è finita e rischia seriamente di non finire a breve.

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