La decrescita rivista
Editoria Il quadrimestrale «Quaderni della decrescita» ragiona sulle crisi avanzando proposte concrete per costruire un altro futuro. Presentazione domani a Roma
Editoria Il quadrimestrale «Quaderni della decrescita» ragiona sulle crisi avanzando proposte concrete per costruire un altro futuro. Presentazione domani a Roma
La rivista Quaderni della decrescita nasce al tempo (in verità perpetuo) delle guerre che azzerano vite, consumano indicibili quantità di combustibili fossili, impoveriscono popoli, distruggono natura e manufatti – da ricostruire in seguito con un grande consumo di materiali ed energia. Al tempo delle catastrofi e delle minacce alla biodiversità che rischiano di giungere a compimento. Al tempo del green washing e delle false soluzioni – compresi i sogni distopici della geo-ingegneria – che suscitano come reazione una diffidenza climatica nuova di zecca. Al tempo in cui sembra inaridirsi l’utopia del semplice benessere per tutti, il «vivere bene entro i limiti, sia biofisici che etici». Al tempo in cui i tre pilastri del possibile cambiamento – leggi, tecnologia e comportamenti – sembrano remare altrove.
QUADRIMESTRALE CO-DIRETTO da un folto collettivo di redazione, con un Comitato editoriale formato da associazioni e reti dell’economia solidale, Quaderni della decrescita affronta fin dal primo numero (288 pagine) ogni aspetto di questa rognosa attualità, confrontandolo con l’idea di decrescita, per un «mondo capace di futuro».
LE SEZIONI DELLA RIVISTA (Orizzonti, Oltre la crescita, Monografie, La saggezza della decrescita, Crepe nel muro, Notizie non pervenute, Pubblicità regresso, Diario della crisi, Documenti, Recensioni) racchiudono 50 articoli e documenti, di diverse discipline, felicemente impaginati e consultabili gratuitamente (https://quadernidelladecrescita.it/). La rivista si può ottenere stampata su richiesta. Tra i numerosi autori di questo primo numero, l’ecofemminista tedesca Claudia von Werlhof, l’economista di area cattolica Luigino Bruni, i giuristi Roberto Louvin e Nicola Capone, il fisico dell’Ispra Riccardo Liburdi, il filosofo Roberto Mancini.
NON SI TEME IL RISCHIO, NELLA GENERALE confusione, di poter raggiungere solo chi è già orientato, dunque una minoranza? In fondo «è difficile capire se non hai capito già» (Francesco Guccini, Vedi cara). Spiega uno dei direttori, Paolo Cacciari: «L’idea di una società orientata alla decrescita sta conquistando interesse a fronte dell’esplodere delle crisi ecologiche e, per contro, dei desideri autentici delle popolazioni della Terra. È necessario avanzare proposte convincenti sotto tutti i profili scientifico-disciplinari, pratici e teorici. Le già numerose esperienze nella direzione del superamento degli attuali modi di organizzazione sociali improntati sulla competitività, sulla predazione, sulla violenza hanno bisogno di conoscersi, confrontarsi, diffondersi per trasformarsi in alternativa politica».
INTANTO, «SMETTERE DI ALLEVARE GUERRE», «demilitarizzare l’immaginario» è uno dei punti di partenza. Ormai fortunatamente solo una minoranza benedice la guerra come «igiene del mondo», ma in tanti la considerano tuttavia una scelta legittima o se non altro inevitabile. E invece, come ben dimostrano le stesse tragedie degli ultimi decenni, i fini dichiarati sono falsi e comunque la violenza, una volta scatenata, non è affatto controllabile. Occorre «disonorare l’impresa bellica», che comporta anche uno svuotamento della democrazia. Certo le guerre sono sostenute da interessi economici, effettivi o immaginati, e il motore dell’economia capitalistica («necrofila») è l’avidità che non può che portare a conflitti fra persone e Stati; ma è possibile reagire inventando una economia di pace, disarmata. Decrescita come altro nome della pace, leggiamo sulla rivista.
MA NUOVI ESTRATTIVISMI, politiche di sfruttamento intensivo dei territori (che producono anche esclusione sociale) paradossalmente sono promossi da chi, istituzioni e imprese, dà una risposta ai problemi socio-ambientali imperniata sulla necessità della crescita economica e dello sviluppo. Vi si contrappongono le lotte per la giustizia climatica che, soprattutto in contesti post-coloniali, veicolano nuove soggettività politiche basate su nozioni come il buen vivir e l’idea di decolonialidad.
AL SINTAGMA «CAPITALE NATURALE» come modo di concepire e rapportarsi alla natura è dedicata la monografia di questo primo numero della rivista, a cura di Paolo Cacciari e Aldo Femia. Se ne discuterà nella conferenza di presentazione, il 20 ottobre a Roma (presso l’Istat, aula magna via C. Balbo 16, 9- 12,30). Tutto è diventato capitale. Policy makers e agenti economici hanno scoperto tardivamente l’importanza degli ecosistemi ma questo sta portando a esiti controproducenti, incorporando l’ambiente nel modello di crescita economica orientata al profitto. Come mai non si stabiliscono quote di prelievi di materiali e di emissioni compatibili con i tempi e con i modi di rigenerazione di ogni bene/servizio ambientale? Invece, pur di continuare a garantire una produzione di oggetti che ha ormai raggiunto le 30 Gigatonnellate annue, si ricorre a tutti i livelli a false soluzioni, come i carbon credits ovvero titoli di inquinamento spendibili sui mercati finanziari (si veda il sistema europeo per lo scambio delle emissioni), i tentativi di geo-ingegneria, le compensazioni con riforestazioni (dall’efficacia sovrastimata).
ESEMPLARE IL DIBATTITO SULLA «CARNE in vitro» (o «sintetica» o «coltivata»), nel quale si mescolano e contrappongono il populismo alimentare (difendiamo le tradizioni), l’antispecismo pragmatico (se proprio tanta gente vuole il sapore della carne, almeno si eviti la violenza sistemica di allevamenti e mattatoi), un presunto sforzo tecno-scientifico per fornire risposte alla crisi ecologica visto il ruolo chiave dei sistemi alimentari (la carne in vitro quasi azzererebbe il consumo di suolo, dimezzerebbe quello di acqua, meno quello di energia). Ma così non ci si discosta dall’assunto di base: mantenere inalterati se non i processi quantomeno le pratiche di consumo e di accumulazione da parte del capitale. Questi prodotti futuribili invisibilizzano alternative già esistenti e praticabili. Peraltro, il prodotto carne in vitro rimarrà a lungo di nicchia. La decrescita è altro.
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