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La decadenza può attendere

La decadenza può attendereSilvio Berlusconi

In Giunta Contro la legge Severino, Berlusconi mobilità i giuristi che già difesero il lodo Alfano. Il Cavaliere scrive al senato e annuncia il ricorso alla Corte dei diritti dell’uomo. Utile per guadagnare tempo

Pubblicato circa 11 anni faEdizione del 29 agosto 2013

Sei memorie, alcune fluviali, altre stringate assai. Tutte orientate a convincere i componenti della giunta per le elezioni – i 23 che da lunedì 9 settembre dovranno decidere sulla decadenza del senatore Berlusconi condannato a 4 anni (3 coperti dall’indulto) per frode fiscale – che la legge Severino non può essere applicata automaticamente. Ovvero a offrire loro l’appiglio legale per una scelta politicamente utile: prendere tempo. Berlusconi la chiede esplicitamente: ha mezzi difensivi illimitati e annuncia un’altra mossa, il ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo. La lettera del Cavaliere è arrivata ieri alla giunta, assieme ai pareri pro veritate dei suoi giuristi. Il ricorso alla Corte di Strasburgo è per violazione dell’articolo 7, in base al quale «non può essere inflitta una pena più grave di quella applicabile al momento in cui il reato è stato commesso». Le possibilità di successo non sono molte, la giurisprudenza è assai rigorosa e Cesare Previti che tentò la stessa strada si vide respinto. Ma i tempi a Strasburgo sono lunghi e al cavaliere interessa tenere aperto lo spiraglio della giunta almeno fino all’interdizione.

Il parere pro veritate, al di là della formula solenne, è una perizia di parte sulle leggi e sulla Costituzione che viene fatta a uso del committente. Anche una legge chiara come la Severino – che introduce una condizione per la candidabilità e che, per questo, è stata velocemente approvata anche dal Pdl per «pulire» le liste delle elezioni di febbraio – diventa opinabile. Sono nove i giuristi scelti dagli avvocati Coppi e Ghedini per Berlusconi. Il professor Guzzetta, già capo di gabinetto del ministro Brunetta. Il professor Nania, che sostenne il conflitto della camera con i magistrati perché Ruby era nipote di Mubarak. Il professor Spangher, già componente del Csm in quota Forza Italia. Il professor De Vergottini, che rappresentò il senato nel conflitto con i magistrati del processo Ruby. Il professor Caravita, già componente dell’ufficio di programma di Forza Italia. Il professor Zanon, membro del Csm per il Pdl. La professoressa Marandola. E il professor Pansini, che nel 2003 fornì il parere pro veritate con il quale l’allora guardasigilli Castelli si oppose alla richiesta di rogatorie avanzata dai pm proprio nel processo Mediaset che ha portato alla condanna di Berlusconi.
Il cavaliere ha accompagnato i pareri con una lettera a sua firma datata «Arcore, 28 agosto 2013» in cui annuncia «per rispetto dovuto al delicato e complesso lavoro in corso di svolgimento» di rinunciare alla sua memoria difensiva, ma solo «allo stato». Oltre al centinaio di pagine che i commissari stanno già studiando, alla giunta arriverà entro il 9 settembre l’atto di ricorso alla Corte europea.

Ma non ci sono novità, nelle carte dei giuristi del Cavaliere, rispetto alle argomentazioni già avanzate dai parlamentari del Pdl che hanno aperto – si veda Violante – qualche breccia anche nel partito democratico. Guzzetta spiega che la giurisprudenza della Corte europea non distingue tra sanzioni penali e amministrative ed esclude la retroattività di ogni sanzioni afflittiva. Spangher, Marandola e Pansini argomentano che la sanzione della incandidabilità prevista dalla legge Severino deve considerarsi sicuramente di natura penale (dunque non applicabile retroattivamente). Più pesante il parere dei professori Zanon Caravita e De Vergottini – tutti e tre componenti della commissione governativa per le riforme costituzionali. Che contiene la certezza che la decadenza e la incandidabilità non possono valere anche per il parlamentari che sono «protetti» dall’articolo 66 della Costituzione secondo il quale sono le camere a giudicare sui «titoli di ammissione» dei loro componenti. La legge Severino, dunque sarebbe incostituzionale, oppure obbligherebbe la magistratura a proporre un conflitto di attribuzione contro il parlamento. Meglio allora, sostengono i giuristi mobilitati da Ghedini, che la giunta fermi il procedimento contro Berlusconi e si rivolga alla Consulta. Che possa farlo lo sostiene l’ultimo parere, quello di Nania, che argomenta per assurdo: se si negasse questa facoltà alla giunta, che è la sede propria in cui si applica la nuova legge, non sarebbe altrimenti possibile sottoporre la Severino al vaglio della Corte Costituzionale. Il che è però smentito dal caso del mancato consigliere regionale in Molise, dove i legali hanno avuto la possibilità di sollevare la questione di costituzionalità sia davanti al Tar che davanti al Consiglio di stato.

Quattro su nove tra i giuristi scelti da Berlusconi per sostenere l’incostituzionalità della Severino, cinque anni fa avevano giurato (in un pubblico appello) sulla costituzionalità del lodo Alfano. Prima che la Consulta lo facesse a pezzi.

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