Visioni

La danza si declina al femminile

La danza si declina al femminileUna coreografia da «Rosas danst Rosas»

A teatro A Milanoltre in scena «Rosas danst Rosas», spettacolo del 1983 di Anne Teresa De Keersmaeker. A reinterpretarlo Laura Bachman, Léa Dubois, Yuika Hashimoto e Soa Ratsinfandrihana

Pubblicato circa 7 anni faEdizione del 30 settembre 2017

Resistenza, bellezza, tenacia, fedeltà al motivo di partenza, individualità messe in luce nella complicità collettiva, matematica e intuito, strabiliante composizione coreografica e musicale. Tutto questo abita Rosas danst Rosas, spettacolo del 1983 di Anne Teresa De Keersmaeker creato in collaborazione con Adriana Borriello, Michèle Anne De Mey, Fumiyo Ikeda, musica di Thierry De Mey e Peter Vermeersch, titolo coincidente con la nascita ufficiale della compagnia Rosas. Rosas dentro le Rosas, le Rosas che danzano se stesse, un inno alla creatività e alla grandezza del femminile. Più volte da allora Rosas danst Rosas è rinato in altre interpreti, Laura Bachman, Léa Dubois, Yuika Hashimoto, Soa Ratsinfandrihana lo hanno danzato questa all’Elfo di Milano per l’inaugurazione del festival Milanoltre, dopo essere passate anche dal Ponchielli di Cremona.

Novantacinque minuti per un pezzo che è come una giornata: primo movimento, è notte, il sonno, il silenzio. La musica martellante che ha aperto è sparita. Una caduta fulminante delle quattro, eccole in ginocchio, poi stese a terra. Una frase di base variata in quattro cellule di movimento, ABCD, è ripetuta all’unisono o con tre danzatrici in fila sul fondo a destra, l’altra a sinistra, in avanti nella scena. Movimento d’attacco o legato, ecco il mento appoggiato alla mano, il rotolare, il raddrizzamento del busto, la ricaduta. La musica è il respiro del corpo. Secondo movimento, il mattino, una danzatrice dispone le seggiole di legno nella sala, sulla diagonale, tre fila di tre sedie, una fila di due. Dispone gli scarponcini davanti alle sedie. Le danzatrici li calzano. Si riparte. Contrappunto con la musica, occhiate tra le quattro, gambe accavallate, braccia lanciate a unirsi sulla destra, testa tra le mani.

Il moto ripetitivo giocato sull’intreccio tra gesto quotidiano e astratto è variato nei numeri della sequenza delle diverse interpreti in un gioco di strepitosa difficoltà, energia, complicità. Terzo movimento, è pomeriggio: le sedie sono spostate sul fondo in una lunga fila, la danza alterna una sorta di basso continuo ballato sul fondo in orizzontale, mentre a turno le quattro avanzano e mostrano se stesse. Guardano il pubblico, flirtano con la maglietta a rivelare una spalla, ognuna ha una qualità di movimento differente. La bellezza dell’individuo che non nega la forza del gruppo.

Quarto movimento, è sera, la danza si prende tutto lo spazio, in avanti, in diagonale, in cerchio, con altre infinite variazioni tra musica e movimento. La coda, dopo un buio improvviso, cita i quattro movimenti e chiude. È una battaglia vincente con se stessi, Rosas danst Rosas, ed è forse anche per questo che il pezzo non invecchia. Incita a prendere la propria vita in mano, senza paure, guardando dritto in avanti, un grido di gioia al femminile. E in quest’epoca, straziata dalla violenza verso le donne, ecco che Rosas danst Rosas acquista un nuovo, combattivo, commovente valore.

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