Le stanze: è questo il titolo della nuova raccolta di poesie di Guido Monti, pubblicata presso peQuod (pp. 68, euro 13). E potrebbe essere definito un libro sul tempo. In verità è una raccolta ricca e complessa, percorsa da mille fili, ma un elemento sembra comunque imporsi su tutti gli altri nel conferirle un tono, un senso complessivo – ed è il tempo, appunto, inteso almeno in una duplice accezione: come tempo che scorre, in primo luogo, e dunque come tempo che ci raccoglie e contiene, fra passato e futuro, ricordi e prospettive, eredità ricevute e da tramandare. Come tempo della coscienza, in altre parole. Ma non solo: il tempo a cui allude la raccolta è anche il presente nel quale siamo immersi, da intendere dunque anche come tempo della Storia – o meglio come l’epoca storica, e cioè politica e sociale, che stiamo attraversando.

È UN TEMPO spesso «violento» o addirittura dominato dagli «isterismi», scrive Monti, e forse «senza più immaginazione»; è un tempo che ci lascia incerti e precari, certo, e pieno di «miseria» – ma in ogni caso è il nostro tempo, e ne siamo attori e responsabili non meno di quanto ne siamo figli o di quanto talora ce ne sentiamo vittime. Spetta a noi pulirlo «dal suo tanto pianto senza compassione», siamo noi a doverlo riempire di contenuti.

È anche un libro pieno di presenze umane, Le stanze, di ogni genere: presenze reali, in carne e ossa, o anche solo sognate o ideali – ognuna dentro una propria «stanza», dell’anima e della vita. Gli amici, gli amori, ma anche gli autori prediletti, da Dante a Keats, da Auden a Montale, a Gadda, a Zagajewski, ad altri ancora.

Ombre e corpi dentro situazioni precise e ben identificate o anche solo sfumate ed evanescenti, proprio come nei sogni. Il «padre» che non c’è più, o un vecchio maestro, o una voce dall’infanzia; oppure Nina, di cui l’io poetante ora è padre a sua volta – Nina che oggi è «spirito della via», che riaccende la «Primavera» e le riconsegna la «gloria di un tempo».

È con tutte queste presenze che Monti dialoga, di stanza in stanza, stanza dopo stanza. È un dialogo vero e proprio, nella misura in cui non esiste una parola della raccolta che non sia rivolta a qualcuno, anche solo nel ricordo, che non esprima il bisogno di essere ricevuta da coloro cui è rivolta: e non è altro che in questo, in effetti, che risiede l’essenza di un dialogo. Sono versi dialogici anche in sé stessi, e quindi anche nella forma, nell’andamento, nel ritmo: sono versi lunghi, distesi, narrativi. Ogni poesia è quasi un piccolo racconto, e la raccolta nel suo insieme forma poco meno che una narrazione di un sé.

MARIO LUZI non compare fra gli autori di riferimento, ma sembra ugualmente di sentirne l’eco – perché anche nei testi di Luzi, e di quelli che compongono Nel magma in particolare, l’io poetante costruisce e ricostruisce sé stesso discorsivamente, attraverso gli incontri con interlocutori sempre diversi. Ecco: gli incontri con ciascuno dei Tu che compaiono nelle Stanze diventano occasioni, continuamente rinnovate, per mettere la coscienza, il proprio tempo privato, a confronto con il tempo della Storia, e per dare alla realtà un contenuto concreto.

Ciò che Monti sembra volerci dire è che sono solo le presenze significative della nostra vita a poter riempire di senso il tempo che ci è dato di vivere, quale che sia. E le parole, nel loro valore relazionale, assumono allora il valore più politico che sia possibile immaginare: non sempre riusciremo a riconoscerci nel nostro tempo, d’accordo, ma i legami ci salveranno sempre, se saremo capaci di rimanervi aggrappati. Il tempo è una «sentenza» che «rode» ogni cosa, leggiamo ad esempio in una delle poesie più belle (la più luziana di tutte, «L’agenda dei nomi»): ma alla fine «forse amicizia /è ricominciare da te, daccapo, che chiedi e mi tiri / mi tiri con l’esile manina».